Perché proprio adesso? «Questa è una fase di grande fragilità dell’Iran, con Hezbollah indebolito, Assad rovesciato, difese aeree distrutte dall’ultimo strike israeliano, e l’arrivo di Trump. Avendo Israele colpito tutti i proxy iraniani, non restava che attaccare la testa del serpente, Teheran», dice Ettore Sequi, già segretario generale della Farnesina e ambasciatore in Cina. «Inoltre, scadevano ieri i 60 giorni dati da Trump per l’accordo sul nucleare e l’Aiea, l’Agenzia del nucleare, si era appena espressa sulla possibilità della bomba iraniana. Tutte le stelle erano allineate. Domani ci sarebbe dovuto essere l’incontro in Oman con iraniani e americani, sabato è festa per gli ebrei e venerdì è il giorno di preghiera in cui l’Iran è più vulnerabile».
Cosa rende questa operazione diversa dalle precedenti?
«Attacchi militari e operazioni d’intelligence insieme continuative. Una novità tattica netta. La magnitudo dell’operazione e la disarticolazione della catena di comando stanno creando all’Iran un problema strutturale di reazione. Khamenei nascosto chissà dove, la prima linea fatta fuori. L’apparato è disconnesso. E c’è una crescente consapevolezza che l’intelligence iraniana è infiltrata. Non sai di chi ti puoi fidare. È a rischio l’identità stessa del potere. Israele non ha mirato solo al programma nucleare, ma al regime, al cuore del sistema. Teheran è consapevole che questa è una battaglia per la sopravvivenza. Uno scontro esistenziale».
Come può reagire l’Iran?
«Dei proxy regionali è rimasto attivo solo lo Yemen degli Houthi, che può agire sui transiti nel Golfo. E Teheran può avviare iniziative terroristiche, magari colpendo interessi americani. Ma sarebbe rischiosissimo: gli Usa reagirebbero, aprendo uno scenario da caduta del regime. Questo è il loro dilemma: trovare una risposta senza cadere in una trappola peggiore. Israele non cerca più l’equilibrio della deterrenza, punta a neutralizzazione il nemico. Rispetto agli americani che hanno cercato di prendere tempo, Netanyahu non crede in una regione stabile e un Iran “razionale” al tavolo. Se il regime crolla, viene delegittimato, collassa e la scommessa è vinta».
E se fallisce?
«Allora si rischia un Iran che esce dal Trattato di non proliferazione. Che cerca l’arma atomica per la sopravvivenza. Se il regime non cade, prima o poi la bomba l’avranno. E gli Stati del Golfo questo lo temevano già nel 2019, con gli strike sui giacimenti sauditi e gli aeroporti emiratini. Perciò hanno spinto gli americani a negoziare. Se la scommessa israeliana salta, avremo una spirale di instabilità. Intanto è scomparso dai radar il tema israelo-palestinese. Un caso? Tutt’altro. Un effetto collaterale molto utile per Netanyahu. L’operazione oscura Gaza e Cisgiordania. E consente alla destra estrema di proseguire nell’erosione territoriale, sabotando il piano dei due Stati. Con queste premesse, non ci saranno Accordi di Abramo».
Trump si è messo d’accordo con Putin?
«Gli Usa non possono gestire contemporaneamente tre crisi: Russia in Europa, Iran in Medio Oriente, Cina nel Pacifico. Quanto all’Iran, gli americani hanno approvato il negoziato, ma non riescono a influenzare Israele. Il ruolo con Trump è il solito: “Siamo d’accordo? Sono con te. Non siamo d’accordo? Sono comunque con te”. E con l’Iran: “Vi conviene un accordo”. Gli Usa devono lasciare l’Iraq entro ottobre per le elezioni. E nell’ultima telefonata Putin ha avanzato un’offerta. Non avendo molto da offrire sull’Ucraina, ha messo sul tavolo l’Iran e fatto balenare a Mosca la possibilità di arricchire l’uranio per conto dell’Iran, gestendo l’esubero».
La Turchia che margini ha?
«Ne ha. Iran e Turchia non vanno d’accordo, tranne che per la questione curda. Ma ora, con l’Iran indebolito, per Ankara si apre una finestra di opportunità. Anche la Turchia ha l’ambizione di essere un attore regionale dominante, e con l’Iran fuori gioco il campo è libero. Qualcuno potrebbe cominciare a pensare che l’unica vera assicurazione sulla vita sia diventare una potenza nucleare. Chi ha la bomba sopravvive. Pure i sauditi lo sanno. Tra le loro richieste agli Usa c’è l’assistenza sul nucleare civile, un segnale neanche tanto implicito».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Leave feedback about this