09.06.2025
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Economy

Buono per incartare il pesce, il romanzo di esordio di Willy Labor


«La verità è che un giornalista da solo non può cambiare le cose e comunque la mattina dopo il giornale è buono solo per incartarci il pesce». È la realtà con cui dopo anni di professione si confronta Gianni Crevatin, giornalista triestino, scapolo e vicino ai quarant’anni, protagonista del romanzo di esordio di Willy Labor Buono per incartare il pesce (Castelvecchi, pp 105, euro 16) che racconta dal di dentro un mestiere sempre più in bilico tra onesta ricerca della verità e necessità di trovare la notizia che fa vendere copie. Tanto che «si cavalca finché dura», dice il protagonista, anche a scapito di nuocere alla reputazione di qualcuno che non si merita tanta celebrità negativa.

Poi c’è lo scoop, che come sa bene l’autore del romanzo, giornalista e a lungo responsabile del servizio economico dell’agenzia Agi, è in grado di mettere in moto l’adrenalina nelle vene di chi fa questo mestiere anche dopo anni: Crevatin ne mette a segno uno con grande soddisfazione del giornale e del suo editore, ma per ottenerlo mette da parte gli scrupoli, con conseguenze che lo portano a confrontarsi con i limiti e l’etica della professione. Non basta più dirsi «se è una notizia, la scrivo. Non sta a me decidere se è etica o meno. Solo verificare che sia vera. Altrimenti la scrive comunque qualcun altro», come il protagonista si ripete. Qualcosa si è rotto e il racconto prosegue sul filo di una crisi che diventa anche personale.

Di fronte a una giovane donna, Beatrice, che gli chiede il motivo per cui ha scelto di fare il giornalista si confessa: «Sì ok, quando ho cominciato in realtà volevo cambiare il mondo con i miei articoli» e perché no «denunciare i potenti, indicare soluzioni eccezionali, incidere sulla realtà».

Poi la consapevolezza di essere solo «un ingranaggio» e la frase coniata da Luigi Barzini jr. su che fine fa il giornale il giorno dopo (ci si incarta il pesce, appunto), poi diventata un classico per indicare quanto le notizie siano effimere che ritorna alla mente di Gianni consapevole che il suo lavoro «dura solo ventiquattro ore scarse».

Ma non tutto è giornalismo, redazioni e uomini e donne che fanno questo lavoro nel romanzo di Labor ambientato in gran parte a Trieste. Sulla scorta di un viaggio inatteso, una missione per il Nuovo da portare a termine in Vietnam, avviene un incontro, quello con la bella e giovane Beatrice, che condurrà il giornalista in territori inesplorati. E molto lontani da quando a poche ore dallo scoop viene convocato nella stanza dell’editore. «Gianni entrò nella stanza un po’ emozionato. Non che si aspettasse nulla di particolare, intendiamoci, ma entrare nello studio dell’editore per un redattore semplice è come per un calciatore quando sbuca dal tunnel dello stadio ed entra sul terreno di gioco: tutti lo guardano e si aspettano qualcosa da lui. E non deve sbagliare».

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