«Non me lo aspettavo assolutamente e ne sono onorata. Ci speravo, certo, ma era un sogno». È il day after della nomina a vice segretaria della Lega, per Silvia Sardone. E lei che fa? È già ripartita da Roma alla volta di Genova, in un tour de force di incontri e convegni nella città che andrà al voto a giorni. Mentre si sposta in macchina, tra una galleria e un’altra — «aspetti che qui cade la linea» — risponde al Messaggero. Guai a parlarle di incarico ottenuto come quota rosa, perché ricorda, «la Lega è sempre stata contraria alle quote», anche se «i nostri elettori sono per la maggior parte donne. Che oggi interpretano bene, forse anche meglio, il messaggio conservatore e sovranista». Di strada, Silvia Sardone ne ha fatta molta, da quando nel 2006 è stata eletta con Forza Italia al consiglio di zona 2 di Milano. Poi la scalata, come consigliera comunale prima e regionale poi, fino all’abbandono di FI nel 2018. Le ragioni dietro la fine di questo primo amore politico? «È Forza Italia che me l’ha fatto capire. La Lega è un partito meritocratico e che rispecchia al 100 per cento le mie idee. “Lega=merito” mi ha scritto un mio collega, anche lui in passato in FI». Che Sardone sia abituata alle sfide difficili lo dimostra pure il punto di partenza: Sesto San Giovani, anche nota come “Stalingrado d’Italia”. Fino a che, nel 2017, con l’allora compagno Roberto Di Stefano, Sardone non ha contribuito a «espugnarla» al centrosinistra. «È stata una liberazione», racconta orgogliosa ricordando l’incredulità di Di Stefano, al momento dell’elezione a sindaco: «Uno dei momenti che ricorderò sempre». Da Sesto a Bruxelles, con il record di preferenze dopo Roberto Vannacci. Ma cosa vuol dire scegliere due europarlamentari come vice? «Bruxelles anticipa i dibattiti nazionali, non è più il cimitero degli elefanti, come veniva chiamato una volta». E qui il Carroccio porta avanti le sue battaglie, non solo contro il green deal ma anche contro il riarmo. Nell’elenco figura anche il Mes, «uno strumento che tocca la nostra sovranità» e l’impegno per la pace per cui è «necessario lavorare, mentre qualcun altro sembrava già pronto ad andare in guerra con i soldati degli altri. Macron in testa». Per questo la neo vice giudica «importante» il lavoro del governo, e sperava «nella vittoria di Trump come tassello per raggiungere una pace nei conflitti mondiali». Ma poi, senza giri di parole, glielo chiediamo: le chiediamo se ha sentito Andrea Crippa, il vice uscente che, stando ai rumors, non avrebbe gradito la sostituzione. «Andrea l’ho visto oggi a Genova e ci ho parlato. Era serenissimo e contento, lavoreremo insieme. Di certo il partito non rinuncerà al suo lavoro. Si parla di un incarico politico importante che sono sicura arriverà». Ma la nomina di Sardone, storica per certi versi — nessuna donna prima di lei ha ricoperto un incarico così alto dentro il Carroccio — fa tornare alle mente le parole dette dalla premier qualche settimana fa, su un sessismo che tocca anche le donne di destra nell’indifferenza generale. Sardone la mette così: «Sono tra quelle che ha ricevuto minacce di morte per le mie battaglie contro il velo islamico eppure non ho mai ricevuto solidarietà da parte delle femministe di sinistra». Ammette, però, che «ancora è indubbiamente più difficile per una donna svolgere alcune attività, tra cui fare politica e oggi, comunque, il carico famigliare è ancora sbilanciato sulle donne». E forse è anche per questo che la voce si fa più bassa e tiepida al momento di indicare il più bel messaggio ricevuto: «Quello dei miei figli. Il fatto che loro siano contenti di questa nomina ripaga non solo i miei sacrifici ma anche i loro che hanno meno la mamma rispetto ad altri compagni di scuola». Se c’è un punto su cui Sardone non transige, questo è il terzo mandato: «Non capisco la motivazione per cui quando uno ha voglia di candidarsi e i cittadini hanno voglia di rivotarlo, questo non gli sia consentito». Non che il verdetto della Consulta spenga le speranze leghiste sul Veneto, a favore della Lombardia: «La prima regione che va al voto è il Veneto? Perfetto. Abbiamo governato bene in questi anni? Sì. Zaia è stato un ottimo governatore? Sì. Dopodiché squadra che vince — o meglio stravince — non si cambia». Decide invece di non sbottonarsi sul tema delle prossime elezioni comunali a Milano, lei che nel 2021 è stata la candidata più votata nel centrodestra: «Se mi chiedono di correre al consiglio comunale, per le preferenze e portare voti al partito, ovviamente, sono a disposizione. Altrimenti farò comunque la campagna elettorale nella mia città. Mi dividerò tra Sesto e Milano, visto che le elezioni saranno in contemporanea». Ma la domanda più difficile la lasciamo alla fine: c’è qualche battaglia di cui si è pentita e che non rifarebbe? Silenzio. Onorevole, un’altra galleria? «No, no, ci sto pensando. Al momento non mi viene in mente, ma qualcuna, in 21 anni di politica, l’avrò sbagliata sicuramente».
Valentina Pigliautile
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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