10.05.2025
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Economy

Donald sta perdendo la battaglia. Una finestra per possibili accordi


Donald Trump ha detto di voler fare dell’America una sorta di “negozio di lusso”. E per poter vendere prodotti negli Stati Uniti, in questa boutique esclusiva, bisognerà pagare una tassa. I dazi, nel racconto di Trump, dovrebbero essere sostenuti dalle aziende che esportano i loro beni negli Usa, non dai consumatori americani. Per ora le cose non stanno andando proprio così. Il sovrapprezzo per adesso si sta scaricando proprio su questi ultimi, le cui attese di inflazione sono balzate al 6 per cento secondo le rilevazioni del Conference board. Non bisogna dimenticare che il successo elettorale di Trump è stato alimentato in buona parte dall’impennata inflazionistica che si è verificata durante l’amministrazione Biden. Da questo punto di vista insomma, le cose non stanno andando nel verso giusto. Nemmeno aiuta la frenata improvvisa dell’economia americana, che nel primo trimestre dell’anno ha visto, dopo molto tempo, un segno meno davanti al Pil. Se poi lo sguardo si sposta da quello che succede all’interno degli Stati Uniti a quello che accade invece all’esterno, anche qui la strategia di Trump non sembra dare i risultati sperati. Per ora nessun Paese ha ancora firmato un accordo commerciale con gli Usa. Anzi, l’isolazionismo americano sta spingendo a nuove partnership, che stanno facendo emergere nuovi attori globali. C’è per esempio un forte attivismo dell’India, un mercato da 1,4 miliardi di persone a cui tutti ora guardano. Ieri è stato firmato uno storico accordo di libero scambio con il Regno Unito dopo tre anni di alti e bassi negoziali. Una svolta che rilancia nelle intenzioni le prospettive commerciali extraeuropee di Londra. India e Gran Bretagna rappresentano rispettivamente la quinta e la sesta economia del pianeta in termini di Pil: alle spalle di Germania e Giappone e davanti a Francia e Italia. Anche l’Europa e i singoli Paesi guardano a nuovi sbocchi, dalla stessa India al Mercosur. Ci sono persino tentativi di riallacciare i rapporti con la Cina. Il mondo, insomma, è come se si stesse in qualche modo riorganizzando.

I RISCHI

Con quali rischi per l’America? Molti. A partire da quello di perdere la posizione egemone del dollaro negli scambi internazionali e il ruolo dei T-Bond, i titoli di Stato americani, quale bene rifugio per i capitali di tutto il mondo. Dopo il “liberation day” del 2 aprile, c’è già stato in questo senso uno scossone. I capitali sono fuggiti da Wall Street facendo crollare il listino, ma non si sono rifugiati nei T-Bond, sono andati via dall’America. Ed è stata proprio questa evidente crepa nelle mura economiche degli Stati Uniti, fino a quel momento ritenute inscalfibili, a determinare la sospensione per novanta giorni dei dazi. È un tempo breve che sta scorrendo velocemente. Ma è una finestra all’interno della quale sarà necessario trovare una “way out”, una via d’uscita onorevole per l’amministrazione americana, che permetta a Trump di poter cantare vittoria. Lo stesso tycoon sembra averne preso atto.

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