ROMA Cortei che saltano, celebrazioni contingentate, canti e inni vietati, incluso quello di Mameli e “Bella ciao”. Succede questo in molti Comuni d’Italia — perlopiù guidati dal centrodestra — alla vigilia dell’ottantesimo anniversario della Liberazione. Da celebrare, secondo gli auspici del governo «con sobrietà», nel rispetto del lutto nazionale per la morte di papa Francesco. Un monito che forse alcuni amministratori locali hanno preso fin troppo alla lettera, attirandosi le accuse di voler avallare le cerimonie utilizzando il monito al contegno come un escamotage.
L’ultimo caso è quello di due borghi della Valcamonica, Ono San Pietro e Cividate Camuno (dove il sindaco è il coordinatore locale di FdI), che hanno annullato le celebrazioni. Per poi precisare che verranno fatte sì, ma in unione ad altri Comuni. Ad essere stata annullata, precisano da Cividate, è stata la manifestazione del giorno successivo. Altrove le restrizioni sono state più pesanti. A Biella lo stop all’accompagnamento musicale alla cerimonia ha reso off limits tanto “Bella ciao” che l’inno nazionale. Sempre nel rispetto del lutto nazionale l’amministrazione comunale di Domodossola — simbolo della resistenza — ha deciso di cancellare il corteo e la sfilata, inclusa la presenza del corpo musicale. Stesso copione a Romano di Lombardia, comune a guida leghista in provincia di Bergamo, che pure ha fatto una piccola eccezione per il Silenzio e l’Attenti. Non solo Nord. Nella lista dei comuni “sobri” entra pure Genazzano, in provincia di Roma: qui il sindaco ha mantenuto la deposizione delle corone ai caduti, rinunciando al tradizionale corteo, facendo infuriare il Pd locale. Ma pure a Potenza, che ha un’amministrazione ibrida, un evento correlato al 25 Aprile è stato rinviato. Caso a parte quello di Benevento, dove il sindaco Clemente Mastella, cattolico con un passato nelle fila della Dc, ha disposto la chiusura dei teatri cittadini fino a sabato 26 aprile, e il divieto di diffusione di musica all’esterno dei locali nella serata di venerdì 25 aprile.
Il mio, spiega Mastella al Messeggero, «è stato un atto di moral suasion. Tutte le celebrazioni previste per la Liberazione sono confermate». Aggiungendo che le polemiche dell’una e dell’altra parte politica sono «immorali», perché si tratta di una ricorrenza «di tutti».
LE POLEMICHE IN SENATO
25 Aprile che vai, polemica che trovi. Anche dentro i due rami del Parlamento, chiamati ieri, con un giorno d’anticipo, a commemorare la Liberazione. E così succede che a innescare le polemiche delle opposizioni, avanzate in primis dalla senatrice di Italia viva, Raffaella Paita, sia stata la scelta del presidente Ignazio La Russa di non alzarsi nel corso del suo intervento introduttivo. Paita, alzandosi in piedi, ha chiesto di fare lo stesso rivolgendosi al presidente e ai colleghi della minoranza. Ma La Russa, che pure ha dato seguito all’invito, ha deciso di ribattere: «Mi pare che questa polemica sia veramente e completamente fuori luogo», ma «faccio quello che secondo me non è esatto». E così ha fatto il presidente di Palazzo Madama, accorciando il suo discorso che pure ha riscosso un discreto successo, da destra a sinistra, culminando con la sottolineatura che «l’antifascismo fu il momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato». Quanto al gesto di alzarsi in piedi, i più vicini a La Russa spiegano che il presidente lo avrebbe richiesto a tutti alla fine del suo discorso per «un momento di ricordo più solenne». Il rimpallo di accuse reciproche non è certo contingentato a questo incidente istituzionale. Da destra molti hanno sottolineato l’assenza in Aula di molti leader dell’opposizione. Al Senato assente Renzi — nonostante fosse stato il suo gruppo a chiedere la commemorazione — ma anche Carlo Calenda, che pure ha partecipato alla discussione sul Documento di finanza pubblica. Alla Camera nessuna traccia di Elly Schlein, nonostante tra i banchi ci fossero sia Nicola Fratoianni, per Sinistra italiana, che Giuseppe Conte. Nessuno dei presenti però ha preso parola. Dall’altro fronte il dito è stato puntato contro i banchi semivuoti del governo. A Palazzo Madama c’era soltanto il sottosegretario all’Agricoltura, Patrizio La Pietra. Mentre alla cerimonia di Montecitorio, conclusasi poco prima, hanno partecipato i ministri Luca Ciriani, Tommaso Foti, Eugenia Roccella e Gilberto Pichetto Fratin.
GLI EVENTI IN PROGRAMMA
Nonostante l’appuntamento mancato con l’Aula, alcuni leader potranno rifarsi oggi. Schlein sarà a Marzabotto, e nel pomeriggio è attesa a Milano per il corteo nazionale del 25 aprile. Con lei, il leader di Avs, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli dei Verdi e il segretario di Più Europa, Riccardo Magi. Se Giuseppe Conte e Antonio Tajani andranno alle Fosse Ardeatine, ancora nessun impegno certo in agenda sembra esserci per l’altro vicepremier, Matteo Salvini. Carlo Calenda, invece, si recherà al cimitero anglo-americano di Testaccio. Confermata la deposizione della corona all’Altare della Patria, a cui parteciperanno le più alte cariche dello Stato, inclusa la premier Giorgia Meloni e il capo dello Stato, Sergio Mattarella, che poi volerà a Genova. Nella serata di ieri, nel frattempo, si sono registrati degli scontri a Torino tra un gruppo di ‘antagonisti’ — composto da autonomi, attivisti dei centri sociali e di movimenti filo palestinesi — e le forze dell’ordine, al termine della fiaccolata per il 25 Aprile. Presi di mira anche i militanti di Iv e +Europa a cui sarebbe stato impedito di partecipare per via delle bandiere ucraine e europee che avevano con sé.
Chissà se, alla fine, quello di oggi rimarrà alla storia come il primo 25 aprile ”sobrio” o l’ennesimo polemico.
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