ROMA Praticamente nessuno, o quasi, stavolta sta rimproverando a Giorgia Meloni di non aver usato – nel suo messaggio per l’anniversario della Liberazione, il 25 aprile – l’espressione «sono anti-fascista». Perché non c’è sillaba, non da ora in verità, pronunciata dalla premier che possa ricollegarla a un passato che non la riguarda. L’anti-fascismo di Meloni non è dunque in discussione, lo è stato in passato, lo è certamente per qualche suo compagno di partito, non lo è per lei.
Ieri la presidente del Consiglio si è presentata alla cerimonia istituzionale all’Altare della Patria, c’erano il Capo dello Stato Sergio Mattarella e le più alte cariche dello Stato, calzando un paio di sneakers e non ha pronunciato discorsi pubblici. Si è limitata a diffondere un comunicato scritto, peraltro calibrato con le parole giuste e politicamente corrette. Difficilmente attaccabili, se non per la stringatezza del contenuto.
«In questa giornata – così ha scritto nella sua nota diffusa da Palazzo Chigi –- la Nazione onora la sua ritrovata libertà e riafferma la centralità di quei valori democratici che il regime fascista aveva negato e che da settantasette anni sono incisi nella Costituzione repubblicana». La premier sottolinea come «la democrazia trova forza e vigore, se si fonda sul rispetto dell’altro, sul confronto e sulla libertà e non sulla sopraffazione, sull’odio e sulla delegittimazione dell’avversario politico». Un’osservazione, quest’ultima, che sembra riferirsi anche agli attacchi personali, demonizzanti, che le sembra — e non sembra solo a lei — di ricevere da certa sinistra più piazzaiola che parlamentare.
E ancora Meloni: «Oggi rinnoviamo il nostro impegno affinché questa ricorrenza possa diventare sempre di più un momento di concordia nazionale, nel nome della libertà e della democrazia, contro ogni forma di totalitarismo, autoritarismo e violenza politica».
L’ESAME
La presidente del consiglio era attesa alla “prova” dell’ottantesimo della Liberazione e non certo per un ennesimo esame. Non c’era nessun obbligo formale che le imponesse un discorso pubblico. Da quando guida il governo, su questi temi (Liberazione, Fosse Ardeatine, anniversario di Matteotti) Meloni ha sempre diffuso documenti scritti nei quali ha via via espresso concetti chiari. Come fece due anni fa in una lettera pubblica, nella quale aveva rivendicato il percorso che ha portato «da trent’anni» la destra italiana a dichiarare la propria «incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo». Aveva detto allora, e ha ribadito adesso, che il 25 aprile simboleggia l’affermazione dei «valori democratici che il fascismo aveva conculcato».
NOSTALGISMO ADDIO
Ottant’anni dopo, magari per la concomitanza con la morte di Bergoglio ma più probabilmente perché è passato tanto tempo dal 25 aprile del ‘45 e perché la destra di governo è difficilmente attaccabile di nostalgismo verso il Ventennio, quel passaggio storico e politico sembra finalmente vissuto – almeno stavolta – con un tasso minore di polemica. L’anno prossimo magari ci si riprenderà ad azzuffare furiosamente, come già avvenuto in passato. Ma intanto, questo ottantesimo si è svolto in un clima non surriscaldato.
E le parole di Meloni sembrano aver aiutato. Perché da parte sua, e di buona parte del suo partito, è naturale il superamento di ogni anche minima accondiscendenza verso il passato totalitario. E rinfacciare a Meloni atteggiamenti di ambiguità sembra più che altro una strategia politico-progandistica poco comprensibile da parte degli italiani d’oggi. Che non sono certamente, nella stragrande maggioranza, favorevoli alla dittatura (figuriamoci!) e se si appassionano al personaggio di Mussolini è per un fatto cinematografico, storico o conoscitivo e non per qualche simpatia verso il personaggio. E allora, forse, il prossimo 25 aprile sarà come questo: sobrio nel senso di riflessivo e non di accapigliamento ideologico, anzi archeologico.
Mario Ajello
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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