Alla vigilia del grande test di Raffaele Fitto all’Europarlamento, la Corte dei Conti affonda un colpo contro il governo sul terreno politicamente più delicato per il commissario-in-pectore: il Pnrr. Un parere di trentacinque pagine dei magistrati contabili riapre una vecchia contesa con il centrodestra: il tiro alla fune sui controlli delle gare per mettere a terra i fondi del Recovery Ue.
L’APPUNTO
I magistrati intervengono sulla proposta di riforma della Corte dei Conti presentata alla Camera dal capogruppo di Fratelli d’Italia Tommaso Foti. La legge approntata dal partito della premier Giorgia Meloni già a inizio anno prometteva, con l’obiettivo di sconfiggere “la paura della firma” degli amministratori alle prese con le gare, di semplificare e ridurre il sistema dei controlli e prevede una novità di peso sul fronte della responsabilità erariale. In sostanza, così spiega la riforma Foti, se un atto avrà superato il controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti, allora non sarà più possibile sottoporre a giudizio per responsabilità erariale gli amministratori che l’hanno adottato.
Tanto era bastato per fare infuriare le toghe di viale Mazzini. Fino allo scontro frontale: a inizio ottobre l’assemblea della Corte, convocata in via permanente, aveva annunciato lo stato di agitazione contro una riforma che «svuota» la Corte delle sue funzioni esprimendo «neta contrarietà» alla pdl Foti. Ora i giudici tornano sulla scena. Con un parere dai toni durissimi, mentre Fitto si prepara a entrare nell’arena dell’Eurocamera per la conferma a commissario europeo con delega, fra l’altro, al Pnrr. Nel parere i magistrati romani spiegano che la riforma Foti, allentando i controlli successivi per la responsabilità erariale per tutti gli atti che hanno avuto il via libera della Corte in via preventiva, «anziché rispondere alla finalità “acceleratoria” dell’azione amministrativa, potrebbe condurre quasi a una paralisi del circuito dei controlli, nonché al rischio che , senza apportare alcuno snellimento alle procedure, si possano incentivare situazioni di illegittimità rilevabili proprio nei settori» interessati dalle gare Pnrr.
Insomma, invece che mettere la parola fine alla “paura della firma” — «laddove si creda nell’effettiva sussistenza del fenomeno», annotano puntute le toghe con una stoccata all’esecutivo — il risultato della riforma «è opposto» a quello desiderato. Invece che liberare sindaci e amministratori dalla spada di Damocle della responsabilità erariale e accelerare i lavori, la proposta targata Fratelli d’Italia comporterà «un aggravio dell’azione amministrativa e delle procedure di controllo e giurisdizionali».
Tempismo infelice, si diceva, per il governo che proprio sul Pnrr si gioca la grande scommessa di Fitto, il ministro agli affari Ue che Meloni ha spedito in Europa con i galloni di vicepresidente della Commissione e commissario con delega ai fondi di Coesione, esame del Parlamento permettendo. Mentre infuria il duello con la magistratura per l’emergenza migranti, ecco riaprirsi il vecchio scontro con i giudici contabili. Bruciano ancora le tensioni per la sottrazione alla Corte, disposta dal governo nel suo primo anno di navigazione, del controllo concomitante sui fondi Pnrr. Se fosse rimasto, ricalcano oggi nel parere al vetriolo i magistrati, «avrebbe assicurato un monitoraggio e una verifica dei risultati al fine di responsabilizzare in corso d’opera stimolando processi di autocorrezione delle amministrazioni destinatarie nell’impiego delle risorse finanziarie per la realizzazione degli investimenti e il conseguimento degli obiettivi previsti dal Piano stesso».
IL PIANO DI FDI
Tranne qualche piccola concessione alla «condivisibile» intenzione di riformare le funzioni di controllo della Corte, il giudizio sul piano di FdI è severo. La riforma, sentenziano i giudici, «è destinata a creare un ulteriore abbassamento del livello delle garanzie poste a tutela della legalità e del buon andamento dell’azione». Difficile però che il parere fermi il riassetto dei controlli disposto dal partito di via della Scrofa. Destinato ad atterrare nei prossimi mesi sul tavolo di Palazzo Chigi.
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