Non un hacker, ma «funzionari infedeli». Al Viminale sono già scattati i controlli interni per scoprire chi e come ha aiutato il gruppo di “via dei Pattari”, guidato dal superpoliziotto Carmine Gallo e l’informatico Nunzio Calamucci, a ottenere illegalmente dossier riservati dalla banca dati del Ced, come sostiene la Dda di Milano.
I CONTROLLI
«Ho incaricato il capo della Polizia di avviare verifiche interne sulla sussistenza di ipotizzati accessi abusivi alle banche dati del Viminale, ed in particolare del Centro elaborazione dati del ministero dell’Interno interforze, o sull’utilizzo illecito delle stesse», dice il ministro dell’Interno durante il question time al Senato. Mentre a Palazzo Chigi ancora si lima il decreto sulle indagini contro i crimini cibernetici da affidare alla Procura antimafia, oggetto di accese discussioni in maggioranza, le opposizioni e Fratelli d’Italia chiamano il titolare del Viminale a spiegare in un’aula di Palazzo Madama semideserta.
Taglia le parole con l’accetta, Piantedosi, riferendosi al mercato nero dei dossier fabbricati «per attaccare gli avversari politici alterando le regole della democrazia». E a margine, parlando con un gruppo di cronisti all’uscita, conferma che il governo sta studiando un nuovo sistema di alert per controllare i funzionari che accedono alle banche dati, come lo Sdi, lo “scrigno” di informazioni di cui hanno le chiavi poliziotti, carabinieri, finanzieri e agenti dei Servizi e da cui proveniva il grosso delle informazioni del super-database Beyond gestito da Equalize. Il ministro non esclude controlli ad hoc per gli accessi ai documenti di politici e personalità istituzionali, gli alert saranno rivisti secondo «criteri qualitativi e quantitativi».
Anche se ai vertici del governo prevale una certa cautela sulla possibilità di una norma ad hoc per difendere i politici dallo spionaggio. Il rischio è che nell’immaginario pubblico passi come norma a difesa della “casta”, quando nel mirino dei dossier ci sono migliaia di imprenditori e privati. Sono ore concitate, man mano che emergono le risultanze delle indagini monta ai piani alti dell’esecutivo la caccia alle autorità responsabili di «non aver vigilato», come ha detto la stessa premier Giorgia Meloni. E se l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, chiamata in causa dagli indagati nel caso dossier, nega qualsiasi coinvolgimento e assicura che nessun server è mai stato “bucato” da esterni, Piantedosi fa scudo al Cnaipc, il centro della polizia postale che si occupa di cybercrimine dove secondo gli inquirenti Calamucci aveva una “talpa” in grado di avvisarlo delle indagini.
«Le capacità di prevenzione e risposta alla minaccia cibernetica attribuite alla Polizia postale sono state ulteriormente implementate, mediante la creazione di appositi Nuclei operativi territoriali, coordinati dal Cnaipc, in grado di gestire, tra il 2022 e il 2023, oltre 25 mila attacchi informatici classificati come rilevanti e più di ottomila nei primi 8 mesi del 2024», spiega il ministro. Che comunque garantisce: «saremo molto severi» con eventuali funzionari infedeli. Resta un caso il decreto fatto scomparire dall’ordine del giorno dell’ultimo Cdm.
LE RESISTENZE
L’idea di una superprocura dell’Antimafia con competenza sui reati cyber crea qualche tensione fra gli apparati. E non è un caso se ieri il Guardasigilli Carlo Nordio ha voluto mettere in chiaro, quasi a calmare le acque, che la procura guidata da Giovanni Melillo avrà un ruolo «complementare» e il Viminale continuerà a fare « la prevenzione e il controllo per evitare hackeraggi e fughe di dati». Sullo sfondo prosegue lo scontro tra governo e toghe sul patto per i migranti con l’Albania. «Un costoso fallimento», lo definisce al Senato il capogruppo di Italia Viva Enrico Borghi. A usare toni incendiari è il leader della Lega Matteo Salvini, che nei giorni scorsi ha messo nel mirino le «toghe comuniste». Incalzato all’uscita, Piantedosi sceglie un altro spartito. «Toghe comuniste? Non lo so, non le conosco..»
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