19.05.2025
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Politics

l’Umbria e l’Emilia-Romagna diventano decisive per il futuro del campo largo


Dopo una sconfitta, e per di più inaspettata, dovrebbe andare in scena lo psicodramma, la valle di lacrime, le discussioni e gli scontri dentro la coalizione che ha perso. E invece, stavolta, no. Il Pd e il centrosinistra al posto della burrasca post-elettorale adottano la bonaccia. Tutti zitti e buoni, e guai a litigare, tra dem e stellati, tra dem riformisti contro dem schleiniani, tra tutti contro tutti, perché — come sta cercando di far capire la segretaria del Nazareno ai suoi, che lo sanno benissimo — il voto in Umbria è l’ultima spiaggia. Ed è paradossale, volendo giocare con le immagini, che proprio l’unica regione del centro Italia non bagnata dal mare (e una delle poche della Penisola a non avere un affaccio sul Mediterraneo) diventi un’ultima spiaggia (ma c’è comunque il lago Trasimeno, che ha il suo litorale).

Ma a parte gli scherzi, anche perché nell’ex campo largo in cui ci si lecca le ferite non c’è aria di sorrisi in queste ore, l’ordine di Schlein è quello di «pancia a terra e voglio l’impegno di tutti ma proprio tutti», per riprendersi politicamente l’Umbria dalle mani del centrodestra. «Non possiamo perdere per 1 a 2 questa tornata del voto», cioè vincere solo in Emilia, dicono nell’entourage della leader, dove si è sempre stati convinti del 3 a zero che è già sfumato.

SCARAMANZIA

Proprio l’Umbria fu il set del Patto di Narni, quello sancito tra l’allora premier Conte, il segretario dem Nicola Zingaretti, il leader stellato Luigi Di Maio e Roberto Speranza per Leu. Erano le regionali del 2019. Andarono malissimo e vinse la destra con la Tesei. Stavolta, la foto di gruppo verrà evitata per scaramanzia, e anche perché i rapporti tra Pd e M5S sono ai minimi termini («Non possiamo essere solo noi a portare i voti», è lo sfogo di Elly dopo la Liguria del pienone Pd e del vuoto stellato) e in più il leader M5S, per non irritare gli elettori grillini più di pancia e meno favorevoli alla vicinanza con i dem, preferisce lo schema dei palchi separati. Ma si deciderà all’ultimo minuto se fingere il presepe oppure no. Quel che è certo è che Schlein sta dicendo sia a Conte sia a Renzi di smetterla con i «personalismi». La disunione, come si sa, non fa la forza. E in Umbria, Italia Viva fa parte della coalizione — pur non presentando il proprio logo ma con candidati nella lista Civici umbri e poca soddisfazione di Maria Elena Boschi: «In Umbria ci hanno nascosto, speriamo bene» — e «davvero in questa regione non si può fallire», avverte la segretaria del Pd che considera ormai anche lei la piccola Umbria, dove i sondaggi danno un testa a testa tra le due candidate, Tesei e Proietti, simile all’Ohio: fondamentale per decidere le sorti della politica nazionale.

Schlein vuole che tutti i big in questi venti giorni si sparpaglino nelle contrade dell’Umbria e guai a tirarsi indietro. La posta in gioco è troppo alta. Dopo di che, il vero problema politico che ha il Pd è quello della mancanza del centro. Che sarà pure una parola estranea al lessico politico-culturale di Elly ma tutti a cominciare da lei nel Pd hanno capito dal voto ligure, e forse lo avrebbero dovuto capire anche da prima, che se i consensi contiani sono pochi c’è la necessità di andarne a prendere altri al centro, sennò vincerà sempre Meloni.

Ecco, può non piacere il centro, ma — come dice il sindaco di Milano, Beppe Sala — «ci serve». E a lui piacerebbe tanto essere il leader della «componente pragmatica e liberal» del nuovo centrosinistra, alleata con il Pd in modalità Margherita di ritorno. Pochi scommettono però tra i dem sulle sue capacità politiche e sulla sua attrattività elettorale.

L’ARABA FENICE

Ma se tutti desiderano l’esistenza di un centro che apra il campo largo a consensi moderati — «Sono aree d’opinione che esistono, hanno storie e identità, e pure dei voti: non mi sembra politicamente saggio lasciarle sole alle lusinghe di Forza Italia e simili», fa notare giustamente Deborah Serracchiani — nessuno sa trovare, perché per ora non c’è, il nome giusto che guidi questa area. Richiamare in campo Rutelli? Magari, ma l’ipotesi non esiste. Rivolgersi a Gentiloni e fare di lui il federatore? Paolo non è interessato all’avventura. E allora chi? L’ex renziano Marattin? Macché. Calenda o Renzi, ancora loro? Piacerebbe a entrambi — «Il centro sono io», è la perenne convinzione del leader di Italia Viva non più in modalità terzopolista ma schleineriana — e però non sono elettoralmente molto dotati. C’è chi sogna una donna: Elena Bonetti? Non va bene. E chi allora? Boh.

Anche i riformisti dem dicono, con il senatore Alessandro Alfieri, che «nella coalizione va rappresentata meglio l’area moderata». Se non fosse che questo centro per ora pare l’isola che non c’è — ma come cercarla? — e quanto al possibile nome di chi possa guidare questa mitica zona cruciale si sta ancora, al netto delle auto-candidature alla Sala, in altissimo mare.

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