19.05.2025
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Politics

«Abbiamo fatto da cavia e l’esperimento è fallito»


GENOVA Ci aveva creduto, Andrea Orlando. Avanti per tutta la durata dello spoglio a Genova, la città del rivale che da sola «conta più di un terzo degli elettori di tutta la Regione. E se il sindaco perde a casa sua, per lui non è un buon segnale», ragionavano a metà pomeriggio gli strateghi dem, asserragliati tra pentole e fornelli in una stanzetta di vetro al primo piano del Mog, il mercato orientale di Genova, utilizzata di solito per i corsi di cucina.

Confidavano nel bis del copione sardo andato in scena nove mesi fa, al Nazareno. Ma a Genova il campo largo non brinda né balla in strada come a Cagliari. L’ex ministro del Pd, che pure ha riportato in pista un centrosinistra che in Liguria «perde tutto da nove anni a questa parte», è sconfitto per un’incollatura. «Sapevamo di dover contrastare un sistema forte che si è manifestato in tutta la sua potenza. Abbiamo rimesso radici», la mette così Orlando. Che a sera, in conferenza stampa, il volto tirato e un filo di stanchezza, punta il dito contro «le difficoltà del cosiddetto campo largo: il centrosinistra deve darsi un assetto stabile, non è possibile determinare il format della coalizione di volta in volta. Siamo stati una cavia, l’esperimento non è andato bene». Punta il dito contro Giuseppe Conte, «uno che all’ultima settimana dice “no, tu no”», anche se non lo dice apertamente. Perché in estate la Liguria sembrava un gol a porta vuota. Con la giunta Toti travolta dalle inchieste e il centrodestra alle prese con la ricerca infruttuosa di un “civico”. Ma che l’aria nelle ultime settimane fosse cambiata, tra La Spezia e Imperia, l’avevano fiutato pure al Nazareno. Anche se il teatro Politeama strapieno di venerdì, con tutti i leader del centrosinistra sul palco genovese per tirare la volata all’aspirante governatore, faceva ben sperare. Tutti tranne Matteo Renzi, stoppato dal no degli stellati. «Abbiamo fatto di tutto per tenerlo in squadra», dicono ora dalla war room di Orlando. «Perché lo sapevamo, che la partita si giocava sul filo». E così alla fine è arrivata «una sconfitta che deve far riflettere il centrosinistra a livello nazionale».

Sul ballatoio del Mog per tutto il pomeriggio si compulsano gli smartphone, si scorrono numeri. «A Voltri avanti!». Nessun big dalla Capitale, solo il deputato romano del Pd Claudio Mancini e Francesco Nicodemo, già nel team comunicazione di Matteo Renzi ai tempi di Palazzo Chigi. Ma lo sprint pop non è bastato, per il quattro volte ministro. Che alle 21 è costretto a prendere il telefono e chiamare il rivale per complimentarsi. Spezzino, 55 anni, padre campano e madre fiorentina (da cui ha ereditato il tifo per la Viola), Orlando a Roma ha ricoperto ruoli di peso: prima all’Ambiente, con Letta premier, poi alla Giustizia, con Renzi e Gentiloni, infine al Lavoro con Draghi. Ma è in Liguria che l’ex enfant prodige della sinistra dem aveva mosso i primi passi.

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DALLA FGCI AL GOVERNO

Comincia presto, Orlando: a vent’anni è segretario provinciale della Fgci, la Federazione giovanile comunista italiana. Per la politica smetterà pure di frequentare giurisprudenza, a Pisa. Aderisce al Pds, e nel 95 è segretario cittadino del partito, poi assessore. Nel 2003 il grande salto, con Piero Fassino che lo chiama con sé a Roma, responsabile enti locali dei Ds. Infine, nel 2006, in parlamento, sempre rieletto. E ora? Tornerà a Roma o farà opposizione a Genova? Una porta aperta Orlando la lascia. «Ciò che si è iniziato va sempre finito». Chissà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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