Dopo quella dei cervelli, l’Italia deve affrontare la fuga dei medicinali. Accelerata, secondo il mondo della farmaceutica, anche dai cento milioni in più garantiti in Finanziaria per i distributori del settore. A scatenare le ire delle imprese non soltanto il fatto la metà di questa cifra viene presa, erodendo i loro margini. Il settore — 3.512 imprese, 65mila addetti, fatturato da 52 miliardi di euro per la stragrande maggioranza sostenuto dall’export — teme che in Italia diventerà sempre meno conveniente produrre per il mercato domestico. Diventa più conveniente portare pillole e fiale fuori confine, dove si pagano di più, lasciando vuoti gli scaffali delle nostre farmacie.
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Ad alzare la voce è soprattutto il mondo dei generici, che vale oltre 4 miliardi di euro e vende a prezzi più bassi. «Siamo profondamente sconcertati — fa sapere Stefano Collatina, presidente di Egualia — Di questo passo i distributori si troveranno ad avere sempre meno farmaci da distribuire». Senza dimenticare che «a rimetterci saranno gli utenti», perché «noi non saremo nelle condizioni di tenere in commercio tutti i farmaci». Sulla stessa posizione è anche la Farmindustria, la Confindustria del settore.
LA CRISI
Il settore della distribuzione farmaceutica da anni lamenta crescenti difficoltà, vista l’alta mole di confezioni trasportate all’anno — 610 milioni — mentre aumentano costi dei carburanti e i paletti sui prezzi (amministrati) dei farmaci. Per questo il governo ha deciso, intanto, dal 2026 di potenziare la quota di spettanza su ogni singolo prodotto per questo pezzo della filiera — uno 0,65 per cento in più -, come detto da recuperare dagli incassi delle imprese. Le quali dovranno rinunciare a circa 50 milioni dei loro introiti. Altri 50 milioni arriveranno, sempre in manovra, ai distributori attraverso il versamento di 0,05 centesimi per ogni medicinale consegnato alle farmacie territoriali.
In Italia — ha rilevato l’Aifa — ci sono 3.876 farmaci introvabili o carenti sui 10mila totali in commercio. Nella prima parte dell’anno l’autorità ha già bloccato l’esportazione di 32 prodotti (antistaminici, anticoagulanti, salvavita per il trattamento di leucemia). In questa direzione, la grande industria ha ricordato al governo che i costi di produzione — tra energia, materie prime e tassi d’interesse — sono aumentati del 50 per cento negli ultimi cinque anni. E, di conseguenza, anche i 50 milioni di euro presi dai loro ricavi, finiscano per erodere la marginalità su medicinali, come i generici o le terapie per il diabete.
In questo modo — si legge in una nota congiunta di Farmindustria ed Egualia — «si frena la crescita dell’industria in Italia». Intanto il payback mette in crisi anche le aziende che producono dispositivi medici. Nicola Barni, presidente di Confindustria Dispositivi Medici, dice che questo fardello «porterà alla fuga delle imprese dall’Italia», portando all’estero la loro produzione.
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