Riunione lampo. Mezz’ora circa. Tanto dura il Consiglio dei ministri della resa dei conti. Sul tavolo c’è, come promesso, il via libera al decreto legge che mette nero su bianco la lista dei Paesi “sicuri” da cui arrivano i migranti e punta così a restringere il margine di azione dei giudici che hanno messo nel mirino il modello Albania. Governo da un lato, magistratura dall’altro. È una nuova giornata di passione e di tensioni tra poteri dello Stato, mentre il Colle osserva preoccupato.
BARRA DRITTA
Apre le danze la presidente del Consiglio Giorgia Meloni con un selfie sorridente postato sui social di buon mattino. «Finché avremo il sostegno dei cittadini continueremo a lavorare con determinazione, a testa alta, per realizzare il nostro programma» ammonisce. E poco dopo, commentando il blitz delle Fiamme Gialle a Crotone contro un’organizzazione di traffico internazionale di esseri umani, rincara:
«Il nostro impegno va avanti. Continueremo a lavorare senza sosta per difendere i nostri confini e per ristabilire un principio fondamentale: in Italia si entra solo legalmente, seguendo le norme e le procedure previste». Elettori avvisati. Giudici anche.
In serata il Cdm lampo per salvare l’esperimento albanese, evitare che le toghe del tribunale di Roma smantellino un pezzo alla volta la complessa architettura normativa che sorregge i nuovi centri per le “procedure accelerate di frontiera” nel Paese est-europeo. Come hanno fatto con i primi migranti arrivati al porto di Shengjin: i sedici già sbarcati hanno dovuto fare marcia indietro. Il nodo è una sentenza della Corte di giustizia Ue di inizio ottobre che costringe a riscrivere la lista dei Paesi sicuri, restringe quella già stilata da un decreto interministeriale di Farnesina e Viminale. Da qui parte il governo con il nuovo decreto che eleva a norma di rango primario l’elenco degli Stati “safe” e ne depenna tre dall’attuale lista venendo incontro alle indicazioni di Bruxelles: Camerun, Colombia e Nigeria.
IL DECRETO
In fila i responsabili del dossier — Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano — si presentano in conferenza stampa la sera. Mentre salta quella più attesa, il faccia a faccia sulla manovra di Meloni con i giornalisti previsto per stamattina e rinviato ufficialmente a causa degli «impegni improrogabili» del vicepremier azzurro Antonio Tajani. A margine del Cdm Piantedosi spiega la svolta per i giudici. Che d’ora in poi, sostiene, non potranno più contestare la designazione di un Paese sicuro da parte del governo, perché «ora è una norma primaria e dovrebbero in sostanza disapplicare una norma di legge». E Salvini, a Quarta Repubblica, aggiunge: «È evidente che su 9mila giudici ce n’è qualcuno che fa politica».
È però il sottosegretario Mantovano, l’ex magistrato che tiene le fila con il mondo togato, a calcare la mano. Spiega, l’uomo da cui dipendono i Servizi segreti, come «l’elenco dei Paesi sicuri non è qualcosa di apodittico ma di meditato». La posta in gioco è altissima, dice: se passa l’interpretazione del tribunale di Roma sui trasferimenti albanesi, «il meccanismo dei rimpatri semplicemente non esiste più e dovremmo rendere conto in sede europea del perché non tuteliamo i nostri confini, che sono confini europei». E se in premessa assicura «massimo rispetto del governo per il ruolo della magistratura, istituzione fondamentale», eccolo mettere in chiaro poco dopo: «Ci sono competenze che riguardano ciascuna istituzione» e la lista dei Paesi sicuri «compete in prima battuta al governo». Come a dire: ognuno al suo posto.
Il clima è questo in una giornata dove lo scontro tra toghe ed esecutivo tiene ancora banco. Attaccano le opposizioni con la segretaria del Pd Elly Schlein. Fanno rumore le parole del presidente del Senato Ignazio La Russa che in un’intervista a Repubblica auspica una revisione del titolo IV della Carta, quello sulla separazione dei poteri. Dice la segretaria del Pd ospite di Agorà: «Chi sta andando oltre le proprie prerogative è proprio questo governo, che vorrebbe rimettere mano alla Costituzione per cancellare il principio di separazione dei poteri». E poi rivolta a Nordio: «Se vuoi aggirare norme e sentenze dell’Unione europea, l’unico modo sarebbe uscirne».
LE POLEMICHE
Intanto il governo tira dritto. Alla stampa il Guardasigilli spiega che «quella della Corte di Giustizia Europea è una sentenza molto complessa e articolata e molto probabilmente non è stata ben compresa» dai giudici del tribunale di Roma che hanno disapplicato l’invio dei primi migranti in Albania. Insiste il numero uno di via Arenula: «Leggete i dieci decreti del tribunale di Roma e vedrete se le cinque righe dedicate a questa motivazione siano in linea con i cinque lunghi paragrafi della sentenza».
Non c’è aria di schiarita con i giudici. Difficile, mentre il leader della Lega Matteo Salvini, a processo per il caso Open Arms, attacca il togato Marco Patarnello balzato alle cronache per una mail in cui critica le mosse del governo, «non merita di stare al suo posto, se c’è qualcuno scambia il Tribunale per un centro sociale e per un luogo di vendetta politica ha sbagliato mestiere». Dall’Anm il presidente Giuseppe Santalucia prova a smorzare: «Non siamo contro il governo, sarebbe assurdo pensarlo», spiega, «tendiamo però a difendere l’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario».
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