21.05.2025
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Economy

La Silicon Valley fa marcia indietro sullo smart working. Amazon pronta a licenziare chi non vuole tornare in ufficio


Addio allo smart working di massa nelle grandi aziende digitali. Dalla Silicon Valley agli uffici in giro per il mondo, le big tech stanno rapidamente smantellando il modello del lavoro agile come modalità prediletta di impiego dei dipendenti. E c’è chi come Amazon è arrivata a cancellare anche il lavoro ibrido (metà a casa e metà in ufficio) a partire dal prossimo anno. Tutti quelli che non si adeguano potrebbero rischiare il licenziamento.
Ci sono poi Apple, Meta, Google, Twitter e Ibm. Chi più e chi meno, la tendenza è sempre la stessa: ridurre le giornate di lavoro da casa a cui si era fatto ricorso quasi esclusivo durante e subito dopo la pandemia da Covid-19 e richiamare i lavoratori in ufficio. L’unica che per ora non sembra andare nella direzione del progressivo smantellamento dello smart working è Microsoft: anche nei prossimi mesi manterrà la struttura di lavoro ibrido implementata in questi ultimi anni durante e dopo la pandemia. Ma il monito dell’ad Satya Nadella è stato chiaro: se ci dovessero essere anche solo segnali di calo della produttività lo smart working verrà messo in discussione.
Le grandi aziende del settore tecnologico sono quelle che in teoria dispongono più di tutte delle risorse e degli strumenti necessari per rendere efficace il lavoro a distanza. Ma l’opinione dei loro vertici, come sintetizzato dal ceo di Meta, Mark Zuckerberg, è che con la presenza «è più facile costruire la fiducia di persona e queste relazioni aiutano a lavorare in modo più efficace». Tradotto, secondo i guru delle big tech il lavoro in presenza potrebbe aumentare la produttività dei lavoratori e i guadagni aziendali.
LA DECISIONE
L’ultimo caso, quello di Amazon, è il più dirompente. L’azienda aveva già approvato una policy che prevedeva la presenza in ufficio almeno per tre giorni alla settimana, ma il ceo Andy Jassy ha spiegato un mese fa che la compagnia sarebbe passata presto a cinque giorni in presenza per «mettere in connessione il processo di creazione con quello di condivisione». Alcuni dipendenti che non hanno accettato il nuovo corso si sarebbero «dimessi volontariamente». Secondo la Reuters, un top manager della multinazionale lo avrebbe detto chiaro e tondo al personale nel corso di una riunione interna: chi non è d’accordo con la nuova policy «può anche andarsene».
Per Matt Garman, il ceo di Amazon web services, però, nove dipendenti su dieci avrebbero dichiarato di essere d’accordo con la nuova direttiva aziendale, che è stata presentata come la chiusura del periodo di emergenza legato alla pandemia da Covid. «Se ci sono persone – avrebbe spiegato il top manager – che non sentono di lavorare bene in quell’ambiente, o non vogliono farlo, per me va bene, ci sono altre compagnie in giro».
L’INTUIZIONE
La nuova policy, secondo Reuters, avrebbe sorpreso diversi dipendenti, che erano convinti di aver cancellato costi e disagi della vita da pendolari, con l’aggiunta dei vantaggi di poter lavorare da casa e stare con la famiglia. Diversi studi di settore negli Stati Uniti e in Europa sostengono che la produzione non viene rallentata se si lavora da casa. Amazon, però, come altre big tech, vede problemi nel processo creativo e nell’assenza di quel lavoro di gruppo che potrebbe portare, sostengono, a un cambiamento importante, come un’intuizione chiave per un processo tecnologico. Secondo Garman tre giorni in presenza non sono sufficienti per alzare l’asticella della produzione e della creatività. Tra gli studi italiani in materia uno degli ultimi pubblicati è quello dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano. L’adozione estesa del lavoro agile, secondo i ricercatori, potrebbe portare a un aumento della produttività fino al 15-20% a livello di sistema Paese, grazie al miglioramento della salute mentale di lavoratori più flessibili e meno stressati. E nelle aziende tech il 72% degli addetti ha dichiarato di essere più produttivo con il lavoro agile. Tuttavia le persone in lavori meno qualificati o a basso reddito, soprattutto donne, avrebbero subito negli ultimi anni un calo della produttività. Una riduzione almeno in parte attribuita dagli esperti a problemi di concentrazione e soddisfazione personale determinati dalla riduzione di relazioni e alle difficoltà nel bilanciare responsabilità domestiche e lavorative. Per i ricercatori, poi, il ricorso eccessivo allo smart working può far sì che le figure junior appena entrate nelle aziende abbiano difficoltà ad essere formate dai loro tutor.

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