Il film racconta la vita della giovane velocista somala Samia Yusuf Omar che partecipò alle Olimpiadi di Pechino nel 2008. Nata a Mogadiscio, in Somalia durante la guerra civile, Samia scopre fin da bambina di avere talento nella corsa: è veloce, talmente veloce da sognare di diventare la più veloce di tutto il paese. E così inizia a correre tutti i giorni per migliorare le sue prestazioni, incitata dal suo giovane amico Alì che s’improvvisa suo allenatore. Corre di giorno e anche di notte, negli stadi vuoti, tra le strade dissestate e polverose, lontano dagli occhi dei miliziani armati protagonisti di tante feroci rappresaglie che mal vedono le donne atlete. Con le scarpe usate e la sciarpa in testa, Samia guarda avanti e continua a correre, perché correre è la sua passione, la sua grande ambizione: perché la corsa la rende libera. Nel 2008 Samia arriva a rappresentare la Somalia ai Giochi Olimpici di Pechino ma qui, la fascia bianca di spugna in testa che le aveva regalato anni prima il padre e il corpo scattante ma sottile come un giunco, arriva ultima nei 200 metri femminili. Perde eppure tutti la salutano come se avesse trionfato: a soli 17 anni ha il coraggio di gareggiare senza velo davanti a milioni di persone e di sfidare le leggi degli integralisti islamici. Diventa il simbolo di riscatto per tutte le donne oppresse del mondo. Quando torna in Somalia, viene presa di mira dai governanti del paese. Per continuare a inseguire il suo sogno, Samia non ha scelta: deve intraprendere il terribile viaggio verso l’Europa. E così corre attraverso il deserto, oltre le prigioni della Libia, fino al mare dagli scafisti che la attendono mentre guarda alle Olimpiadi di Londra 2012, dove non arriverà mai. (Servizio a cura di Eva Carducci)
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