22.05.2025
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Economy

il tetto scende a 160mila euro


Vertici degli enti territoriali e di quelli statali, delle municipali di diritto privato ma di capitale pubblico o i presidenti delle fondazioni dovranno guadagnare quanto la premier Giorgia Meloni: 80mila euro netti all’anno, 160mila lordi. Cioè quasi centomila euro in meno rispetto a oggi.

Stretta del governo contro quello che una volta si chiamava “Capitalismo di Stato” o “Capitalismo municipale”: nella manovra passata quarantott’ore fa in Consiglio dei ministri c’è un nuovo tetto agli stipendi dei manager pubblici — almeno quello di aziende non quotate o che emettono debito: per presidenti, amministratori delegati e direttori generali si passa da 240mila a 160 mila euro lordi all’anno. Al momento — ma la norma è in via di limatura — sembrano salvi soltanto i componenti dei Cda.

Un segnale in questa direzione Giancarlo Giorgetti l’aveva già lanciato nella primavera scorsa. Era alla Camera per spiegare le nuove regole europee di bilancio e, parlando di enti locali, aveva specificato che accanto a sindaci, presidenti di Provincia e governatori anche «le strutture» di questi enti avrebbero dovuto dare un contributo al contenimento della spesa primaria. Che da qui ai prossimi sette anni deve calare di un punto percentuale all’anno. Nessuno, sbagliando, l’ha preso sul serio. E infatti nell’ultima legge di bilancio ecco, accanto all’imposizione per Comuni e Regioni di accantonare pezzi di spesa corrente per gli investimenti, la norma che sta già mettendo in crisi Stato e Parastato. 

REGOLE FONDAMENTALI

Se Giorgia Meloni parla di «misura di buon senso», la filosofia dell’operazione l’ha fatta intendere lo stesso Giorgetti: oltre alla spending review di ministeri ed enti locali — circa 7 miliardi totali -, «anche tutto l’universo di quelli che sono enti, soggetti, fondazioni a vario titolo che non sono esattamente figli dei ministeri ma ricevono un contributo a carico dello Stato, saranno chiamati a rispettare alcune regole fondamentali di buona finanza». Intanto, «per chi riceve contributi dello Stato, gli organi di vertice in termini omnicomprensivi di compensi avranno un tetto che abbiamo ritenuto ragionevole fissare all’indennità del presidente del consiglio dei ministri». E se i vertici o gli azionisti non sono d’accordo? «Possono anche rinunciare al contributo pubblico». Cioè ai trasferimenti miliardari dello Stato che, per esempio, permettono il funzionamento delle municipalizzate dei trasporti o dei rifiuti, la programmazione di enti culturali o lirici, per non parlare del funzionamento delle agenzie fiscali.
Il testo dell’articolo di legge sarebbe stato oggetto di numerose scritture. Qualcuno ha ricordato che lo scorso anno Giorgetti provò anche a inserire per i manager delle grandi partecipate paletti sull’erogazione degli emolumenti: fedina penale immacolata, nessuna possibilità di sommare i compensi di presidente e ad, parte variabile corrisposta solo con margine operativo positivo.
La misura, infatti, è molto scivolosa. «Anche perché abbassando gli emolumenti — spiegano da Forza Italia — si farà sempre più fatica a trovare manager capaci nel perimetro pubblico. Noi stavamo spingendo per far saltare il tetto da 240mila euro». Mentre dal Mef, invece, fanno notare che era necessario mettere un freno alle tante controllate pubbliche sanzionate dalla Corte dei Conti, che negli ultimi anni hanno emesso bond soltanto per alzare gli stipendi dei loro vertici.

ETICA E ECONOMICA

Il ministro Giorgetti, volontariamente, ha scelto di essere vago sull’applicazione della norma. «Questa — spiegano da ambienti della maggioranza- è una crociata che ha una valenza più etica che economica». Che, a quanto pare, non sarebbe nata in via XX settembre ma direttamente a Palazzo Chigi. A quanto si sa, sarebbero poche le certezze: il taglio dovrebbe riguardare soprattutto le indennità più che i compensi tout court, non sarà retroattivo e dovrebbe coinvolgere tutte le realtà che rientrano nel Elenco delle Amministrazioni pubbliche censito dall’Istat: circa 800 tra aziende ed enti come l’Aifa, il Coni, le municipalizzate, gli enti parchi, le Camere di Commercio, l’Enea, i teatri lirici, ai quali va aggiunta l’Aci. Dovrebbero essere esclusi gli enti previdenziali. Per la lista definitiva c’è da aspettare le prossime ore, ma da ambienti vicini a chi sta scrivendo la norma si fa sapere: «Vogliamo intervenire tutti gli enti pubblici e anche privati se godono di sovvenzioni statali»

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