23.05.2025
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«Avvisata del malore dagli amici. A 12 anni ha avuto una crisi spirituale, doneremo gli organi alla scienza»


«Sammy? È stata una morte naturale, legata alla sua patologia rara. Anche se non ce lo aspettavamo minimamente». Laura Lucchin, la madre di Sammy Basso, il 28enne malato di progeria morto ad Asolo, in provincia di Treviso, sabato scorso, racconta sul sito del Corriere del Veneto che «i suoi organi sono stati donati alla ricerca, affinché siano utili a far progredire gli studi su cui lui stesso stava lavorando».

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La chiamata degli amici

Ad avvisarla del malore del figlio, sono stati gli amici: «Quando ci hanno chiamato, non potevamo immaginare che non si sarebbe mai più svegliato.

Noi abbiamo vissuto con lui ringraziando giorno per giorno, consapevoli della malattia e di che cosa comportasse. Ora, cosciente del fatto che lui abbia vissuto così tanto, per 28 anni, mi dico «caspita». Ma noi ci svegliavamo ogni mattina dicendo: «Che bello che lui sia qui anche oggi con noi» e ce lo siamo vissuti a pieno sempre».

Sull’atteggiamento di fede di Sammy, per Laura Lucchin «ha realizzato un percorso di fede importante. Noi siamo credenti e fin da piccolo lo abbiamo accompagnato in tutte le esperienze della religione cristiana cattolica. Poi a 12 anni, quando ha iniziato la cura sperimentale, ha avuto una crisi. Questo perché Sammy ha sempre creduto che lui fosse nato affetto dalla progeria perché questo era il progetto di Dio per lui, e così l’aveva accettata. Una volta che si è presentata la possibilità della cura sperimentale si sentiva di andare contro la volontà di Dio. Lui ha sempre detto che per un anno e mezzo si è sentito un po’ ateo… ha studiato tantissimo, ha approfondito il buddhismo, la religione islamica, l’ebraismo e lo stesso cristianesimo. Si è poi confrontato con diversi ricercatori e scienziati, che gli hanno trasmesso un messaggio per lui fondamentale: la scienza sono le mani di Dio. Da questo momento ha ricominciato a viversi pienamente il cristianesimo».

Il dopo-Sammy sarà «quello che è stato il fulcro della sua vita: la ricerca. Ha lavorato fino all’ultimo come ricercatore per un progetto in collaborazione con il centro di Boston che lo seguiva, e il Cnr di Bologna per poter trovare una cura alla sua patologia. Sapeva che non sarebbe stato per lui, ma per le generazioni future. La ricerca quindi andrà avanti, come il lavoro dell’associazione da lui stesso fondata. Sono tanti gli amici all’interno — conclude — che continueranno a tenerla viva».

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