25.05.2025
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Politics

Sprint per la Consulta, FdI mobilita deputati e senatori: «L’8 tutti in aula»


I telefonini vibrano intorno a mezzogiorno. Il messaggio è perentorio, accompagnato da tre puntini rossi, tutto maiuscolo: «Attenzione, martedì 8 ottobre, ore 12.30, indispensabile la presenza di tutti al voto per la Corte costituzionale». Mittente: Fratelli d’Italia. Destinatario: senatori e deputati dispersi nei rispettivi collegi, lontani, come di norma il venerdì, dalle aule di Montecitorio e Palazzo Madama. Dove però dovranno presentarsi in massa, nessuno escluso, martedì prossimo. Perché il gran giorno per l’elezione del quindicesimo giudice della Corte Costituzionale è arrivato. E la premier Giorgia Meloni è pronta a svelare la sua carta per il più alto organo giurisdizionale del Paese.

I NOMI

Voci di questi giorni danno in crescita le quotazioni di Francesco Saverio Marini. È il consigliere giuridico della presidente del Consiglio, l’uomo che passa ai raggi x i dossier di Palazzo Chigi e segnala dubbi, ritocchi se necessario. Soprattutto Marini, avvocato e costituzionalista con lunga carriera accademica alle spalle, ma anche istituzionale, dal Vaticano al Campidoglio, è il custode del premierato, la «madre di tutte le riforme» promessa da Meloni ai suoi elettori.

Ci sarebbe un’intesa di massima sul “prof” che in questi due anni ha accompagnato con discrezione la travagliata gestazione della riforma costituzionale sui poteri del premier (e del Quirinale), ora arenata tra le sabbie dei lavori parlamentari. Ma c’è anche un profilo che può spuntarla fra tre giorni. Carlo Deodato, segretario generale di Palazzo Chigi, consigliere di Stato vicino ad Alfredo Mantovano.

Nome noto e apprezzato negli ambienti cattolici. La firma in calce sui documenti che scandiscono la vita quotidiana del palazzo affacciato su Piazza Colonna. Totonomi a parte la partita è tutta politica. E lo sprint segnala la volontà della premier di mettere fine a un’anomalia. Da dieci mesi alla Corte manca un giudice. A lungo la maggioranza ha tentennato, si è arrovellata per cercare un nome in grado di incassare la maggioranza dei voti prevista per l’elezione: tre quinti, cioè 363. Ci è voluta una strigliata del Capo dello Stato Sergio Mattarella a imporre lo sprint. «Un vulnus alla Costituzione compiuto dal Parlamento», così parlava a luglio a un incontro con la stampa parlamentare. Di qui il «monito, suggerimento, invito» a fare presto. Otto voti, otto fumate nere per il centrodestra riunito a Montecitorio negli ultimi mesi. Ora forse la svolta. Ieri hanno vibrato anche i cellulari di Forza Italia: «Evitate missioni e altri impegni di ogni genere». Segno che c’è una quadra, o questo almeno sperano ai piani alti del governo.

LA CONTA

Del resto mancano pochi voti: la premier parte da 349 e ha bisogno di altri quattordici per centrare l’obiettivo. Le recenti adesioni alla maggioranza, da Mara Carfagna a Mariastella Gelmini fino a Enrico Costa, sono state studiate anche con questo scopo. Al netto di assenze e diserzioni l’elezione è alla portata, almeno sulla carta. A dicembre il secondo round con la fuoriuscita di tre giudici: il presidente Augusto Barbera, e i due vice Franco Modugno e Giulio Prosperetti. Il sogno della maggioranza, chissa se proibito, è fare en-plein.

Molto dipende da questa nomina. Si apre ora la stagione delle riforme. Una sfida più politica che istituzionale. Per approvare entro la legislatura le leggi-cardine del governo, dal premierato alla separazione di giudici e pm, non è detto che ci siano i tempi. Ci sarà sicuro invece una battaglia a suon di referendum cavalcata dall’opposizione a guida Conte-Schlein. Autonomia, premierato, ora anche la cittadinanza. Per la destra un giudice a Berlino, anzi a Roma, nella Consulta, ci sarà sicuro.

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