17.05.2025
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Politics

quell’asse bipartisan uno spiraglio per Fitto


Di tutto un po’. La Russia di Vladimir Putin, a Strasburgo, manda ancora una volta a gambe all’aria gli schemi della politica italiana. La doppia votazione — per di più non vincolante — con cui l’Unione europea ha chiesto ai Ventisette di revocare le attuali restrizioni che impediscono all’Ucraina di usare le armi occidentali su obiettivi russi, riporta in scena quegli stessi fantasmi che nei mesi scorsi si erano palesati più e più volte. Stavolta lo fa non solo alimentando la crepa che ha già evidenziato la distanza tra FdI, FI e Lega, ma pure liquefacendo il patto della birra siglato poco meno di una settimana fa da Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli e Riccardo Magi sul palco della festa dell’Avs a Roma.

LA MAGGIORANZA

La prima in realtà, rassicurano fonti di rilievo, sarebbe «solo sulla carta». Il fatto che il partito di Matteo Salvini si sia espressa contro al testo generale con cui l’Ue chiede ai Ventisette di consentire a Kiev di «esercitare pienamente il suo diritto all’autodifesa», non minerebbe infatti il rapporto fiduciario che la unisce a Fratelli d’Italia e Forza Italia, che pure ieri si sono dette favorevoli con sfumature lievemente diverse. Anzi, ragionano nei corridoi dell’Eurocamera, è testimonianza che gli «ipotetici ostacoli» raccontati all’indomani del voto di giugno scorso a causa dell’appartenenza a famiglie politiche diverse e talvolta distanti, sono aggirabili lasciando che sia «il buon senso» a prevalere. Tradotto: la mossa di FdI e FI di votare a favore del testo generale, e in buona parte contro l’emendamento specifico che chiedeva di togliere le restrizioni all’uso di armi in territorio russo, era in qualche modo concordata. Da via della Scrofa, come dal Carroccio e dagli azzurri, non a caso garantiscono che le idee del governo sull’invio delle armi a Kiev e sul loro utilizzo difensivo esclusivo non sono destinate a cambiare. Come peraltro Giorgia Meloni ha spiegato a Volodymyr Zelensky durante l’ultimo incontro bilaterale che hanno avuto a Cernobbio. Non solo per coerenza rispetto ad una posizione assunta e ribadita su più fronti relativa alla non-escalaton, ma pure perché la premier non ha intenzione di portare a deflagrazione i contrasti con la Lega o sfidare i sondaggi che certificano una certa stanchezza degli italiani nei confronti del conflitto.

A traballare è stata però pure la solidità della minoranza. L’opposizione si è infatti spaccata sia sulla risoluzione generale (M5S e Avs contrari, nel Pd si sono astenuti Strada e Tarquinio), che sull’articolo 8. Alla “coerenza” di Cinquestelle e Verdi che hanno confermato il proprio niet, si è agganciata un’evidente difficoltà dem alle prese con nove contrari, due favorevoli, un astenuto e l’ala riformista che non ha partecipato al voto. Uno stacco netto rispetto a grandissima parte dei Ventisette, che se da un lato testimonia come l’Italia sia capace di marcare una posizione autonoma, dall’altro evidenzia anche la possibile convergenza tematica tra famiglie politiche. Le famose “geometrie variabili” del Parlamento europeo che ieri, pallottoliere alla mano, si sono tradotte nel voto più o meno compatto di FdI, FI e Pd, preludendo al forse più determinante voto su Raffaele Fitto. Suggestioni di certo meno realistiche della coalizione alternativa a quella che ha votato Ursula von der Leyen a luglio che si è affacciata ieri riconosce Edmundo Gonzalez Urrutia presidente legittimamente eletto del Venezuela, contro il regime di Maduro. Per la prima volta è passata una risoluzione con i soli voti delle destre: dal Ppe ai conservatori fino ai Patrioti di Orbán e Salvini e al gruppo dell’Europa delle nazioni sovrane che comprende l’AfD. Senza socialisti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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