19.05.2025
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Politics

«Potrei finire in carcere per aver difeso gli italiani»


Fondo nero pece, luci e telecamere puntate. Scandisce le parole una ad una. Tono grave, voce baritonale. «Matteo Salvini, nato a Milano il 9 marzo 1973, vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno da giugno 2018 a settembre 2019. Oggi sono a processo e rischio il carcere perché in Parlamento la sinistra ha deciso che difendere i confini italiani è un reato».Si fa trovare pronto, il “Capitano”. Mentre i pm formulano la richiesta di condanna all’Ucciardone, lui è altrove. Non a Palermo, dove combatte per lui Giulia Bongiorno, avvocata e fidatissima consigliera.

No, eccolo in video, nella bolla social che sa rigirare a suo piacimento, lanciare un appello dai toni drammatici. «Mai nessun governo e mai nessun ministro nella storia è stato messo sotto accusa o processato per aver difeso i confini del proprio Paese». C’è della maestria, nel videoclip girato dal team del “Capitano”. Ritorno in grande spolvero della “Bestia” che ne ha fatto un fenomeno social. Chissà se c’è lo zampino di Luca Morisi, consigliere con cui i rapporti sono rimasti ottimi.

Salvini guarda in telecamera, ripercorre la vicenda al centro del processo. Ora per ora. «Il 29 luglio 2019 una nave spagnola di una ong spagnola, la Open Arms, salpa da Siracusa diretta a Lampedusa. A Lampedusa non arriverà mai. Improvvisamente cancella la destinazione dal diario di bordo e si dirige verso le coste libiche. Il 1º agosto riesce a intercettare un barcone con dei clandestini a bordo. Da quel momento comincia a navigare per il Mediterraneo, raccogliendo altri clandestini e puntando verso l’Italia. Il 20 agosto arriverà davanti alle coste siciliane con 164 clandestini a bordo».

L’ARRINGA

È un turbinio di date, nomi, dettagli. Ha studiato e ristudiato le carte, le ha ripassate nei giorni scorsi con l’amica Bongiorno prima che partisse per Palermo. La tesi è ormai nota. Opposta, ovvio, a quella sostenuta ieri nella lunga rogatoria dei pm all’Ucciardone. La nave di Open Arms, sostiene Salvini, ha avuto più occasioni per portare i migranti a bordo in un porto “sicuro”. Avrebbe evitato la drammatica traversata nel Mediterraneo, il tiro alla fune con le autorità italiane — si difende il leghista — se solo avesse fatto rotta verso Tunisi. O in Spagna, nazione di cui batteva bandiera.

«Più di venti giorni di navigazione nel Mediterraneo, trattenendo a bordo tutti questi clandestini quando per raggiungere la Spagna sarebbero bastate 72 ore. Questa nave spagnola ha rifiutato per ben due volte lo sbarco dei clandestini in due porti messi a disposizione dalla Spagna e ha rifiutato addirittura il soccorso di una nave militare inviata dal governo spagnolo durante la navigazione nel Mediterraneo», accusa il vicepremier del Carroccio.

Che un po’ infilza la Ong che lo ha portato alla sbarra, un po’ si difende e rigetta l’immagine di ministro duro e inamovibile di fronte al dramma umano della migrazione, legale o meno che sia: «Della Open Arms abbiamo sempre soccorso e fatto sbarcare malati, donne incinte e minori a bordo». Poi la politica si riprende i suoi spazi, violentemente: «Non potevamo più essere il campoprofughi di tutti». Il finale poi è una climax cinematografica. Petto in fuori, Salvini giura guardando l’obiettivo. «Mi dichiaro colpevole di aver difeso l’Italia e gli italiani. Mi dichiaro colpevole di aver mantenuto la parola data». Resta una sedia vuota, l’articolo 52 della Carta sulla difesa dei confini scorre sullo sfondo. Sipario.

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