21.05.2025
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Politics

«Cambio radicale perché continui a esistere. E servono investimenti doppi al Piano Marshall»


Nel suo rapporto sulla competitività Mario Draghi non indica tabelle di marcia, ma mette in fila le raccomandazioni per l’agenda politica europea. Si capisce che non c’è un prima e un dopo: politiche industriali, ambientali, energetiche, commercio, ruolo finanziario del continente, difesa del modello sociale europeo, gestione dell’immigrazione, recupero accelerato delle condizioni di competitività rispetto a Usa e Cina, capacità di esprimere una “governance” della Ue in grado di decidere per il bene collettivo, sono capitoli di una sfida che vanno trattati contemporaneamente perché strettamente intrecciati. E rapidamente. «La Ue sta entrando nel primo periodo della sua storia recente in cui la crescita non sarà sostenuta dall’aumento della popolazione. Entro il 2040, si prevede che la forza lavoro si ridurrà di quasi 2 milioni di lavoratori ogni anno. Dovremo fare più affidamento sulla produttività per guidare la crescita. Se la Ue dovesse mantenere il suo tasso medio di crescita della produttività dal 2015, sarebbe sufficiente solo a mantenere costante il pil fino al 2050, in un momento in cui l’Unione sta affrontando una serie di nuove esigenze di investimento che dovranno essere finanziate attraverso una crescita più elevata».

Le necessità finanziarie sono enormi: per digitalizzare e decarbonizzare l’economia e aumentare la capacità di difesa, la quota di investimenti in Europa dovrà aumentare di circa 5 punti percentuali del pil a livelli visti l’ultima volta negli anni ’60 e ’70. «Ciò è senza precedenti», ricorda Draghi. Per fare un confronto, gli investimenti aggiuntivi forniti dal Piano Marshall tra il 1948 e il 1951 ammontavano a circa l’1-2% del pil all’anno. Ecco il monito: «Se l’Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare, contemporaneamente, un leader nelle nuove tecnologie, un faro di responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni». Ecco il perché della “sfida esistenziale” che travalica fortune – e spesso sfortune – dei governi in carica.

INDUSTRIA E CLIMA

La Ue deve chiudere il “gap” di innovazione rispetto agli Usa e alla Cina. «Il problema non è che l’Europa manchi di idee o ambizione. Abbiamo molti ricercatori e imprenditori di talento che depositano brevetti. Ma l’innovazione è bloccata nella fase successiva: non riusciamo a trasformare l’innovazione in commercializzazione e le aziende innovative che vogliono espandersi in Europa sono ostacolate in ogni fase da normative incoerenti e restrittive. Di conseguenza, molti imprenditori europei preferiscono cercare finanziamenti dai venture capitalist statunitensi e ampliare la propria attività nel mercato statunitense». Tra il 2008 e il 2021, circa il 30% degli «unicorni» fondati in Europa, startup che hanno raggiunto un valore di oltre 1 miliardo di dollari, hanno trasferito la propria sede all’estero, con la stragrande maggioranza che si è trasferita negli Stati Uniti.

Poi la Ue deve ridurre i prezzi dell’energia e lavorare sulle opportunità industriali della decarbonizzazione definendo innanzitutto un piano comune per decarbonizzazione e competitività. Infine deve aumentare la sicurezza e ridurre le dipendenze, obiettivo che deve essere alla base di una effettiva “politica di sicurezza economica” parte integrante a pieno titolo della politica “estera” dell’Unione: obiettivo, coordinare effettivamente gli accordi commerciali preferenziali e gli investimenti diretti con i paesi ricchi di risorse. Di qui passano le partnership per catene di approvvigionamento sicure e anche la capacità industriale di difesa indipendente.

CLIMA E COMPETITIVITÀ

Draghi invoca un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività: «Se non riusciamo a coordinare le nostre politiche, c’è il rischio che la decarbonizzazione possa andare contro la competitività e la crescita». Quanto ai prezzi dell’energia, sebbene siano calati dai picchi, le aziende affrontano costi 2-3 volte superiori a quelli degli Stati Uniti. I prezzi del gas naturale pagati sono 4-5 volte più alti. Ciò perché in Europa mancano risorse naturali, ma anche per problemi fondamentali del mercato energetico comune. «Le regole di mercato impediscono alle industrie e alle famiglie di catturare tutti i benefici dell’energia pulita nelle loro bollette. Le tasse elevate e le rendite catturate dai trader finanziari aumentano i costi energetici per la nostra economia», sottolinea Draghi.

La decarbonizzazione è «un’opportunità di crescita per l’industria, visto che la Ue è leader mondiale nelle tecnologie pulite come turbine eoliche, elettrolizzatori e carburanti a basse emissioni di carbonio, e più di un quinto delle tecnologie pulite e sostenibili in tutto il mondo vengono sviluppate qui. Tuttavia, non è garantito che l’Europa coglierà questa opportunità. La concorrenza cinese sta diventando acuta in settori come la tecnologia pulita e i veicoli elettrici, guidata da una potente combinazione di massicce politiche industriali e sussidi, rapida innovazione, controllo delle materie prime e capacità di produrre su scala continentale».

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