A stoppare il trasloco di Raffaele Fitto a Bruxelles, ora, sembra poter essere solo lui stesso. Dopo il faccia a faccia in masseria tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, con Antonio Tajani in collegamento telefonico, paiono cadute anche le resistenze di chi non ha mai avuto particolarmente in simpatia il ministro per gli Affari europei, il Sud, la Coesione e il Pnrr. «Raffaele Fitto ha tutti i numeri per essere un ottimo commissario europeo indicato da questo governo», ha non a caso detto ieri il leader leghista in una diretta sui canali social con cui ha di fatto chiuso le sue vacanze. Un’investitura che fa il paio con quella recapitata a più riprese proprio dal leader di Forza Italia Tajani e che, in attesa della formalizzazione attraverso una lettera indirizzata a Ursula von der Leyen da Meloni, apre il secondo capitolo di questa vicenda. Ovvero quello delle deleghe con cui Fitto dovrà misurarsi a Bruxelles.
LE DELEGHE
A patto che superi le forche caudine degli esami a cui lo sottoporranno le commissioni dell’Europarlamento, per cui si sta preparando da mesi, la strada più praticabile continua ad essere il corposo pacchetto composto da Bilancio, Pnrr e Coesione. Ma, spiega chi segue da molto vicino il dossier, «fino a quando non c’è una comunicazione ufficiale è impossibile escludere sorprese». Dopo il forte mandato politico incassato, sembra confermata invece la possibilità che quello del ministro pugliese possa essere il solo nome indicato dalla presidente del Consiglio per l’Italia. Un’intenzione che — assieme a quella manifestata da diversi altri Paesi, tra cui la Francia con Thierry Breton — pare però mettere a rischio la parità uomo-donna immaginata da von der Leyen per la prossima Commissione Ue. Tant’è. L’intenzione meloniana di spingere sul ministro (che ieri, per niente preoccupato, ha seguito sugli spalti dello stadio via del Mare la prima di campionato tra Lecce e Atalanta) non è affatto intaccata.
LA SUCCESSIONE
Anzi. Se le dichiarazioni di Salvini e Tajani sembrano tirare via il faldone europeo dal tavolo del Consiglio dei ministri che si terrà la prossima settimana, non è affatto escluso che questo possa ripiombare sul vertice a tre che si terrà il prossimo 30 agosto tra gli alleati. In questo caso però il tema da affrontare non è la casella da riempire a Rue de Berlaymont, ma le tante poltrone lasciate vacanti da Fitto a Roma. FdI non ha intenzione di mollare nessuna delle deleghe, ma non sembra avere tra le mani la carta per tenerle tutte insieme. E allora ecco che in vista delle dimissioni – che comunque non arriverebbero prima di novembre – chiede agli alleati di evitare inutili scossoni. Tra quanto circola ai vertici dell’esecutivo l’ipotesi più probabile è che si finisca con lo spacchettare il tutto. Ovvero con l’assegnare la delega per gli Affari europei ad un fedelissimo della premier. Magari al sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, che già altre volte ha avuto modo di seguire i dossier comunitari.
Destino simile per il Sud, la più “politica” tra le deleghe nelle mani di Fitto. Non comportando impegni particolarmente gravosi questa potrebbe infatti finire nelle mani del sottosegretario Alfredo Mantovano, che pure è già molto oberato, o del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida.
LE OPZIONI
Il discorso si complica per quanto riguarda Pnrr e Coesione. A palazzo Chigi si pensa che separarle significherebbe depotenziarle. Le strade quindi sono due: indicare un nome che tenga il rango di ministro, ma al momento non risultano investiture in tal senso, oppure ricondurla alla dimensione di sottosegretario al Mef. Un incarico per cui qualche figura sarebbe stata individuata (dalla deputata Letizia Giorgianni a Ylenia Lucaselli) ma per cui, in ogni caso, non verrà sciolta la riserva fino all’ultimo momento utile. Fino a novembre, quindi. Quando cioè potrebbe anche arrivare il temuto avviso di garanzia nei confronti della ministra del Turismo Daniela Santanché. A quel punto però, l’operazione assumerebbe sempre più i contorni di un mini-rimpasto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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