18.05.2025
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Politics

il “modello Caivano” per il piano periferie


Tra i propositi di metà anno con cui la premier Giorgia Meloni ha congedato i suoi ministri prima della pausa agostana, ce n’è uno su cui ha molto insistito in più di una recente riunione a Palazzo Chigi. «Voglio occuparmi delle periferie». È un chiodo fisso nell’agenda Meloni, tra i primi punti da segnare in rosso al rientro a settembre. Esportare l’esperimento di Caivano, il quartiere di Napoli abbandonato al degrado e al crimine riqualificato in sei mesi di tour de force fra retate della polizia e la rimessa a nuovo del centro sportivo Delphinia, oltre ai fondi sbloccati da Roma. Farne un modello per altre periferie delle altre città italiane, da visitare una ad una , nel tempo, per lanciare un guanto di sfida alla criminalità organizzata. Reggio Calabria e Messina, Foggia e Palermo. Prima il Sud, poi a salire il resto: Bologna, Milano, Torino. Non è wishful thinking. C’è un motivo se la presidente del Consiglio è stata a lungo combattuta sulla scelta di Raffaele Fitto come prossimo commissario europeo.

LE RISORSE DA BRUXELLES

Nulla a che vedere con il profilo, l’unico davvero in pista e a breve si saprà per quale portafoglio economico. C’entrano semmai i dossier che Fitto dovrebbe affidare ad altri, qualora facesse le valige per Bruxelles. Da un lato il Pnrr. Dall’altro i fondi di Coesione, la cassaforte per risollevare le zone disagiate del Sud. Nel decreto coesione licenziato dal Cdm in primavera, sono trentanove le medie città e 14 le metropoli destinatarie dei fondi europei, tre miliardi di euro quelli stanziati finora. A ognuna corrisponde una periferia, un quartiere dove la criminalità organizzata sfida lo Stato, anzi lo sostituisce, fiacca il dissenso e la speranza di chi ci abita. Caivano è la punta dell’iceberg. Ce ne sono tante altre. Giostra, a Messina, tra i distretti più disagiati della Sicilia dove la mafia riesce ancora a tenere testa alle forze dell’ordine, nonostante le retate e il pugno duro. E che dire di Arghillà, piazza di spaccio a Reggio Calabria, crocevia della ricettazione, il panorama spezzato da un pendio di carcasse di auto rubate, smontate e infine bruciate. O ancora Tor Bella Monaca, quartiere difficile della Capitale cara alla premier, che lo scorso dicembre ha ricevuto don Antonio Coluccia, il sacerdote che guida la crociata anti-clan e per questo è stato più volte aggredito. La lista è lunga e non è solo confinata al Sud, dove però la spesa dei fondi di coesione ha un canale preferenziale previsto dall’Ue. Per Meloni la “borgatara”, come scherza lei canzonando le offese dei suoi detrattori e rivendicando le origini in un quartiere popolare di Roma Sud, è anche una questione personale.

Da settembre, ha spiegato ai suoi prima di partire da Roma, vuole mettere testa alle periferie. Considera il caso Caivano un esperimento riuscito (e il suo ultimo blitz nel quartiere a maggio, con lo sketch per sbertucciare l’arcirivale governatore campano De Luca, un giorno-chiave per il successo elettorale alle europee). Ha appena premiato Fabio Ciciliano, commissario straordinario per Caivano, con la nomina a capo della Protezione civile. A tutti i ministri impegnati nel “Piano Mattei” e nell’andirivieni tra Roma e i Paesi africani per stringere intese di ogni tipo — energia, auto, agrifood — ripete: «Dobbiamo fare come a Caivano». Ovvero ripetere la staffetta forzata del governo sotto la regia del sottosegretario Alfredo Mantovano per marcare il territorio e rispondere al guanto di sfida della criminalità organizzata, le “stese” e gli spari in aria per i vicoli della periferia di Napoli.

IL TOUR

Sarà insomma Meloni-tour nelle periferie d’Italia? Si vedrà. Non sfugge alla leader della destra al governo la contropartita elettorale dietro al piano per le “Caivano” lungo lo Stivale. A partire dalla Campania che andrà al voto solo nel 2025 e tuttavia è già nei pensieri del governo sul cui tavolo sono atterrati sondaggi riservati che danno il campo largo del centrosinistra, se unito (ed è tutto da vedere) favorito in partenza e che dunque richiede un candidato unitario forte a destra.

Ma per questi calcoli c’è tempo. La premier intanto tira dritto sul piano per le periferie e il modello Caivano. Dicono abbia già individuato la prossima città, nel Sud Italia, dove ripetere l’esperimento, ma a Palazzo Chigi le bocche sono cucitissime. Lei comunque ne fa una questione di legacy. Finisse tutto domani, l’inaugurazione del nuovo centro Delphinia a Caivano, le lacrime di don Patriciello e i ragazzini assiepati nel centro sportivo sarebbe una di quelle giornate sufficienti a dire, nonostante tutto, «ne è valsa la pena».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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