«Le analisi cromosomiche non bastano», taglia corto Giuseppe Novelli, direttore di genetica medica del Policlinico Tor Vergata di Roma. Ecco perché nelle competizioni sportive «serve una commissione internazionale che stabilisca linee guida con regole precise, per tutti i casi di differenze nello sviluppo sessuale».
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È corretto che Imane Khelif competa con le donne?
«La caratterizzazione dei cromosomi di tipo XY, che corrisponde ad una costituzione cromosomica maschile, non è sufficiente per definire se si diventa maschi o femmine. Ci sono molti geni e molte situazioni che noi chiamiamo differenze nello sviluppo sessuale (dsd)».
Di che si tratta?
«Sappiamo che nella costituzione cromosomica in utero con il cariotipo XY si dovrebbe andare verso lo sviluppo maschile, se invece la Y manca, quindi abbiamo XX, si va verso quello femminile. Ma non sempre funziona così. Il processo è molto complicato: conosciamo almeno 40 condizioni differenti in cui ci sono geni diversi che si associano a queste differenze dello sviluppo sessuale».
Sono condizioni rare?
«Ne nasce uno su 5-6mila. Le Dsd indicano un aspetto che è femminile anche se c’è un cromosoma maschile. E viceversa, possiamo avere un aspetto maschile in una condizione cromosomica femminile».
Come si scoprono?
«Spesso casualmente in utero, altre volte alla pubertà, oppure in situazioni di sterilità».
Come si fa per stabilire la condizione sessuale?
«L’analisi del cromosoma andava di moda negli anni ‘60, quando gli atleti dovevano sottoporsi alla cosiddetta cromatina sessuale: si prelevava qualche cellula della pelle e si vedeva se c’era Y o meno. Ma ormai le conoscenze sono molto avanzate. Oggi sappiamo che le condizioni sono tante e diverse, e che ci sono combinazioni di geni e di ormoni diversi, e vanno studiate e approfondite molto bene».
Eppure, nelle competizioni non sembra tutto così chiaro.
«La genetica è complessa e complicata. Molti dibattiti nascono dalla poca conoscenza scientifica: bisognerebbe approfondire questi casi, studiarli bene. Per questo serve una commissione internazionale che stabilisca linee guida uguali per tutti, con regole precise per tutti i casi di dsd. Molte situazioni non vengano neanche analizzate».
Ma chi ha una dsd può risultare più forte?
«Questo è un dato relativo. Un atleta finlandese, che ha vinto 5-6 medaglie d’oro nello sci di fondo, aveva una resistenza incredibile dovuta ad una mutazione di un gene che porta ad avere buona produzione di globuli rossi, quindi molto ossigeno. Era molto più resistente e questo era un vantaggio».
I geni di ciascun atleta possono fare dunque la differenza?
«In alcuni sport in cui è importante la resistenza, per esempio nella maratona, gli etiopi vincono sempre. Va tenuto presente che esistono varie differenze che vanno studiate e valutate attraverso l’allenamento. Spesso il vantaggio dipende dal fatto che si sono allenati bene. Nel caso dell’atleta algerina, non parliamo però di un maschio che gareggia con le femmine».
E la prestanza fisica può dipendere dai cromosomi?
«Non c’entra niente. Come è noto, le persone con cromosomi normali possono essere più piccole e più grandi. Quindi anche chi ha i cromosomi XY può essere non di grande statura».
Viste le polemiche, il mondo sportivo è rimasto indietro?
«Ormai abbiamo conoscenze scientifiche molto approfondite. E lo sport dovrà adattarsi, stabilendo regole chiare, prima di escludere un atleta dalla competizione».
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