Non si quietano le ondate di polemiche legate a Imane Khelif, la pugile algerina i cui test del dna hanno evidenziato nelle cellule la presenza dei cromosomi xy, caratteristici del sesso biologico maschile. Oggi, alle ore 12.20, Khelif incontrerà l’italiana Angela Carini negli ottavi di finale del torneo olimpico dei pesi welter femminili, anche se le ore della vigilia sono state particolarmente dense di tensioni, specie politiche. «Io devo adeguarmi a quello che ha deciso il Cio, quindi andrò sul ring e darò tutta me stessa», ha comunque confidato la pugile azzurra. Il governo italiano ha mostrato il proprio disappunto attraverso le parole del ministro per lo Sport, Andrea Abodi, del vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini, e del ministro per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella. Ecco Abodi, per cominciare: «Trovo poco comprensibile che non ci sia un allineamento nei parametri dei valori minimi ormonali a livello internazionale, che includa quindi europei, mondiali e Olimpiadi. Nell’evento che rappresenta i più alti valori dello sport si devono poter garantire la sicurezza di atleti e atlete, e il rispetto dell’equa competizione dal punto di vista agonistico. Domani (oggi, ndr) per Carini non sarà così», ha spiegato Abodi.
E ancora. «Quello delle atlete e degli atleti transgender è un tema che va ricondotto alla categoria del rispetto in tutte le sue forme, ma dobbiamo distinguere la pratica sportiva dall’agonismo che deve poter consentire di competere ad armi pari, in piena sicurezza. In questo caso assistiamo a un’interpretazione del concetto di inclusività che non tiene conto di fattori primari e irrinunciabili», ha aggiunto Abodi. Quanto a Salvini, ha commentato: «Che un uomo combatta contro una donna mi sembra poco olimpico. Questo la prende a pugni, a botte, non giocano a scacchi…». E di un simile contenuto sono stati i pensieri di Roccella: «Sorprende che non vi siano, a livello internazionale, criteri certi, rigorosi e uniformi, e che proprio alle Olimpiadi possa esserci il sospetto, e assai più del sospetto, di una competizione impari e persino potenzialmente rischiosa per una dei contendenti».
Vale la pena di annotare che Imane Khelif, 25 anni, è una atleta non transgender, bensì intersessuale: perché è nata donna, è sempre stata una donna e non si è mai sottoposta a interventi per compiere una transizione da uomo a donna. Semplicemente, come valeva per la sudafricana Caster Semenya, è una donna che produce livelli di testosterone alti, simili a quelli riscontrabili negli uomini, e possiede nel dna i cromosomi xy — una forma di iperandrogenismo, si potrebbe definire, certo slittando sui confini sfumati delle definizioni.
Alla partecipazione di Imane Khelif ai Giochi di Parigi è però intrecciato il cuore della polemica. Perché un anno fa, ai Mondiali di New Delhi, l’algerina era stata estromessa dalla rassegna dato che i test del dna cui si era sottoposta avevano certificato la presenza dei cromosomi xy. I Mondiali di boxe erano organizzati dall’Iba (l’International boxing association), guidata dal russo Umar Kremlev, mentre il torneo olimpico ora è coordinato dalla Divisione boxe del Cio, che ha stabilito dei parametri di ammissione più ampi e indulgenti, fondati sul testosterone — e non dunque sui cromosomi.
E, giusto ieri, è piovuto nel dibattito un chiarimento della stessa Iba: «Sebbene l’Iba continui a impegnarsi a garantire l’equità competitiva in tutti gli eventi, esprimiamo preoccupazione per l’applicazione incoerente dei criteri di ammissibilità da parte di altre organizzazioni, comprese quelle che supervisionano i Giochi Olimpici. Le diverse normative del Cio su queste questioni, in cui l’Iba non è coinvolta, sollevano seri interrogativi sia sull’equità competitiva che sulla sicurezza degli atleti». Sul versante italiano, il Coni si è confrontato con il Cio tramite i propri canali interni, chiedendo delle delucidazioni sulla vicenda: «Il Coni si è attivato con il Comitato olimpico internazionale affinché i diritti di tutti gli atleti e le atlete siano conformi alla Carta Olimpica e ai regolamenti sanitari», ha fatto sapere in una nota.
E a prendere la parola, infine, è stato anche il presidente della federboxe, Flavio D’Ambrosi. «Sul caso Carini, con prudenza e responsabilità istituzionale, sto lasciando fare al Coni. L’interlocutore che deve parlare con il Cio è il comitato olimpico. È un caso particolare e credo che vada allineato al rispetto dei valori e delle regole della carta olimpica», ha concluso. Oggi il ring dirà.
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