18.05.2025
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Politics

Meloni, la mediazione per evitare la formula “Via della Seta”


Ci sono le crisi internazionali. C’è il piano d’azione triennale per rinverdire il partenariato tra le imprese italiane e i colossi cinesi. Ma c’è pure il difficile esercizio di equilibrio tenuto da Giorgia Meloni a Pechino. Dinanzi ad una Cina determinata nel tenere un riferimento «allo spirito della via della Seta» nonostante la volontà italiana di proseguire un rapporto solido che vada al di là dell’intesa da cui ha ufficializzato la fuoriuscita poco più dieci mesi fa, Meloni si è infatti ritrovata in bilico tra pragmatismo e diplomazia.

Un gioco complicato in cui la presidente del Consiglio ha provato a cavarsela giocando il jolly di un rapporto culturale che — per citare il presidente della Repubblica popolare Xi Jinping — «non si misura in anni ma in secoli e millenni». Un bilanciamento che alla fine ruota tutto attorno al concetto di «antica» via della Seta a cui ha fatto riferimento il presidente cinese, un’escamotage di comodo che allude più all’esploratore Marco Polo che all’ex inquilino di palazzo Chigi Giuseppe Conte.

IL RAPPORTO

Il vero baricentro della nuova vicinanza tra piazza Colonna e piazza Tienanmen è però da ricercarsi nel rapporto con un’Unione europea che per il Celeste impero sembra complicarsi di ora in ora. Per quanto nelle intese triennali non ve ne sia una vera e propria traccia, sia la premier italiana che il presidente cinese danno per esempio per assodato l’accordo che consentirà ad alcuni colossi asiatici dell’auto elettrica di aprire degli stabilimenti nella Penisola aggirando i veti imposti da Bruxelles. Così come pare piuttosto implicito che la rappresaglia di eventuali dazi sull’importazione di prodotti agroalimentari non dovrebbe includere le imprese nostrane. Una mano tesa che, sull’onda lunga di quanto già fatto dalla Francia e dall’Ucraina, sembra andare oltre le semplici dichiarazioni, finendo ben raffigurata dall’impegno a «rafforzare la fiducia reciproca» messo nero su bianco dai due Paesi, anche in relazione ai rapporti della Cina con l’Unione europea, per assicurare «stabilità» e «parità di condizioni per le rispettive aziende».

L’UCRAINA

Che per Meloni non sia stata esattamente una passeggiata, paragonabile a quella fatta con Xi nei giardini della Diaoyutai al termine del faccia a faccia con il leader del partito comunista, lo testimonia pure l’accurata scelta della premier delle parole da usare sull’Ucraina.

A dispetto di decine di altre volte o di quanto fatto durante l’incontro con il primo ministro Qi Liang di domenica, la premier non a caso evita di usare la parola «aggressione» limitandosi a relativizzare il discorso ad «un’insicurezza crescente» che vede la Cina come «interlocutore molto importante».

Riferimenti peraltro neppure citati dai comunicati di parte cinese, che condensano i riferimenti geopolitici al solo assenso italiano alla politica di “una sola Cina”. A pochi mesi dalla possibilità che Donald Trump torni alla Casa Bianca, quello di Meloni pare essere un modo per non esaltare le distanze tra le posizioni cinesi e quelle occidentali, accendendo invece un faro sul ruolo di maggior mediazione che Xi si sta ritagliando nelle ultime settimane, come dimostra l’incontro di pochi giorni fa con il ministro degli Esteri di Kiev Dmytro Kuleba. La Cina, del resto, potrà anche non essere esattamente il nostro principale alleato, ma è senz’altro — a voler citare Meloni — un potenziale «nostro amico».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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