Venerdì il presidente del Coni Giovanni Malagò parte per Parigi: Esecutivo e Sessione del Cio, di cui è membro, poi si scivolerà verso la XXXIII Olimpiade, che parte il 26 luglio con la cerimonia inaugurale. Come si sta, a 10 giorni dai Giochi? C’è entusiasmo, ansia, orgoglio?
«Sono molto fortunato: ansia e angoscia ho imparato ad accantonarle, ormai il mio sistema nervoso mi fa reggere la pressione. Ma entusiasmo e orgoglio ce ne sono. E’ incredibile quanta gente comune, inaspettata, in questi giorni ti cerca, ti chiama, ti chiede informazioni, tutti sono coinvolti. Mi rende felice. Io dico sempre che è tutto merito degli atleti e dei tecnici»
La prima Olimpiade che ricorda?
«Ho cominciato a collegarmi alle Olimpiadi di Monaco 1972, da lì ho iniziato a programmare le mie vacanze in base alle date e alle gare olimpiche. Ho esultato per tante medaglie, ma sicuramente quella di Mennea nei 200 di Mosca rimane scolpita nella mia mente».
Per essere felice, quante medaglie italiane dovrebbero arrivare a Parigi?
«Farne una in più delle 40 di Tokyo è l’obiettivo. Non è semplice per niente ma abbiamo lavorato molto bene in questo triennio atipico, perché gli ultimi Giochi sono stati nel 2021. Le previsioni e gli algoritmi ci danno in una posizione variabile tra la sesta e l’undicesima, ma nessuno dice una cosa; i grandi paesi vinceranno sempre meno medaglie. Prima avevi qualcuno, come Usa, Urss o Cina, che prendeva anche 100 medaglie, ma oggi la globalizzazione ha fatto sì che nel medagliere arrivino nuovi paesi. Il Kosovo ha vinto due medaglie d’oro a Tokyo, non so se rendo l’idea».
Col record di 403 qualificati azzurri abbiamo dunque più possibilità di medaglia?
«A Tokyo ci fu un totale di 11600 atleti qualificati, a Parigi saranno 10500. Quindi il 10% in meno. Nel mondo ci sono 206 comitati olimpici nazionali e quasi tutti quindi porteranno meno persone rispetto a Tokyo, mentre noi avremo il 5-6% di atleti in più. E la cosa è incredibile perché siamo andati meno bene negli sport di squadra, che senz’altro potevano fare meglio, come il calcio. Ma entrare nei tornei olimpici a 12 squadre è difficilissimo perché sport come il calcio non sono selezionati col ranking ma con la rappresentanza continentale. E piazzarsi tra le prime tre d’Europa col calcio è difficilissimo, l’abbiamo visto. Cambia tutto invece in sport come la pallavolo che qualifica in base al ranking».
Da quali sport si aspetta di più?
«Da quelli che finora non hanno fatto grandi cose. Quindi mi aspetto molto, anzi moltissimo dal tennis. Poi dico con grande franchezza che vorrei qualcosa di storico dalla vela, anche se ha già vinto un oro meraviglioso a Tokyo. E ci sono premesse incredibili di fare ancora meglio di tre anni fa con la ginnastica. E non dimentico la boxe, che tra donne e uomini può darci grandi soddisfazioni».
L’atletica farà più fatica invece, visto che viene dai 5 ori di Tokyo?
«Ho già detto, prima degli Europei, che l’atletica vincerà più medaglie di Tokyo. Certo non è pensabile arrivare a 5 ori ma in totale saranno di più. La classifica più giusta del medagliere, del resto, sarebbe quella delle medaglie totali: non è giusto che un paese, per dire, che vince 30 medaglie di cui 3 d’oro, sta dietro in classifica a uno che conquista 7 medaglie, di cui 4 d’oro magari nella lotta o nel sollevamento pesi…»
È in apprensione per Tamberi?
«No. L’ho sentito, ci ho parlato. Lui è maniacale nella preparazione, e ogni intoppo la esaspera, come un elemento che complica l’avvicinamento. Poi dice lui stesso di essere un animale da gara e ha bisogno di misurarsi, doveva farlo in Ungheria e non ha potuto, adesso spera di farcela per Ancona»
Jacobs come sta?
«Come tutti i cavalli di razza dei 100 metri, all’Olimpiade devi arrivare al 100% della condizione, qualsiasi dettaglio conta. Il test di domenica a Rieti non è stato certo entusiasmante, ma siamo sempre lì: è in carico o in supercarico? Lui dice che è in supercarico, quindi ok. Ho sempre detto che Jacobs a Parigi sarebbe stato competitivo, poi nessuno oggi può pronosticare il campione olimpico dei 100: quel giorno e a quell’ora, né prima né dopo, chi avrà nervi d’acciaio e fisico perfetto vincerà, e dipenderà da un sacco di cose»
A Parigi esordisce la Breaking, con la nostra Antilai Sandrini.
«Sono felicissimo della sua qualificazione. Grazie a lei, arrivata per ultima, siamo riusciti a portare almeno un atleta in tutti gli sport individuali, una soddisfazione enorme: siamo ai Giochi con 27 sport su 32 totali. La presidente della Danza Sportiva, Laura Lunetta, ha fatto un lavoro eccezionale»
Queste Olimpiadi, se le cose fossero andate in un certo modo, non si sarebbero dovuto disputare a Parigi ma qui, a Roma… è ancora un grande dolore?
«La cicatrice si è rimarginata ma la ferita rimarrà tutta la vita. Ed è abbondantemente condivisa non solo con i romani ma con tutti gli italiani. Fu una decisione politica della città. Attaccarono le Olimpiadi dicendo che sarebbero state poco oneste, ma è una contraddizione in termini se tu hai la possibilità di gestirle. L’incredibile decisione della Raggi fu non tanto dire di no alle Olimpiadi, ma proprio: tornate indietro dall’aereo che sta andando a vincere la candidatura olimpica. Fu un errore clamoroso, la città avrebbe avuto solo da guadagnare. L’esempio, proprio a Roma, è stata la Ryder Cup. La mia azienda ha sede da 20 anni in via Tiburtina, si muoveva ben poco, poi è arrivata la Ryder Cup e guardate cosa si è fatto in 8-10 chilometri prima e dopo il Raccordo. Ne ha beneficiato solo il pubblico del golf o tutte le migliaia di cittadini pendolari che ogni giorno passano di lì? Magari non è giusto, perché le opere si dovrebbero fare sempre, però questo nel nostro paese non succede, e allora ben vengano le manifestazioni sportive. Se fai le Olimpiadi, ad esempio, sei obbligato ad avere da 8 a 10 stadi con certi tipi di parametri. Qui stiamo ancora decidendo come allestire 5 stadi per gli Europei 2032, e noi ne avremmo avuti già sistemati una decina. Ora siamo 7-8 anni dopo quei fatti, e ditemi se è stato fatto qualche investimento di impiantistica sportiva pubblica in questo lasso di tempo».
Presidente, il problema più imbarazzante dello sport italiano si chiama calcio: lei come la vede?
«Ho un ruolo pubblico, con tutto quello che comporta, ma non voglio nascondermi né essere diplomatico. Nel calcio ci sono fazioni contrapposte: se la conclusione di tutto è che una parte trionfa e l’altra soccombe, il calcio continuerà a non risolvere i problemi. Invece trovare un equilibrio tra i soggetti, con le giuste formule di mediazione, è l’unico modo di fare insieme quello che è indispensabile».
Secondo lei siamo sulla buona strada, dopo l’emendamento Mulé?
«Insomma…»
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