Giorgio Armani oggi spegnerà 90 candeline. Riceverà auguri da tutto il mondo, ne sorriderà coi suoi occhi di un azzurro evanescente, che brillano e si commuovono ancora di guizzi creativi ogni volta che fa la sua uscita finale, ma manterrà indubbiamente quella concretezza che da sempre lo guida e che gli ha permesso di unire il genio dell’idea a quello del risultato, moda e business in un binomio perfetto. Nato a Piacenza l’11 luglio del 1934, si è sempre rinnovato con coerenza tenendo il passo col contemporaneo. Non a caso l’ultima collezione che ha presentato, la sua Armani Privé, l’alta moda che si è regalato nel 2005 come sigillo di una carriera straordinaria, è stata la più ammirata e applaudita di Parigi e lui stesso ha ammesso che fosse la sua più riuscita. Lo ha affermato con quell’entusiasmo e con quell’ironia curiosa che ha un ragazzo alle prime armi.
L’ESORDIO
Poco più che ventenne, anagraficamente parlando, lascia la facoltà di medicina e si trasferisce a Milano, dove inizia a lavorare come vetrinista per la Rinascente. Viene notato, nemmeno a dirlo, e nel 1974 inizia a collaborare con Nino Cerruti e come designer free lance di capi in pelle per varie case di moda. Il 24 luglio del 1975 nasce, però, la Giorgio Armani e ci ha raccontato che allora come oggi la cosa che gli dà maggior carica è «Vivere il prima e il dopo di una creazione, di una sfilata o di un progetto. Prima è eccitante seguire le fasi di un processo creativo. Dopo, vedere le persone che scelgono e indossano i miei capi è la più grande soddisfazione». Le sfilate lo emozionano sempre, «perché presentare una collezione al pubblico è un po’ come mettersi a nudo ogni volta». La sua prima, nel 1975, la rivive ancora: «Ricordo la musica del finale: un brano degli Inti-Illimani, un gruppo musicale cileno allora popolarissimo. Mi ricordo gli applausi che mi rassicurarono e un po’ mi sorpresero. In fondo avevo proposto in passerella un’immagine di donna che andava decisamente controcorrente».
AUTOREVOLE
Già, quella donna che voleva essere pratica, forte, decisa, una donna in giacca. Quella sua famosa giacca, sfoderata, leggera, un guanto, eppure autorevole, di quel prestigio che non deriva da false sovrastrutture, ma dalla sostanza, pacata e mai urlata. Liberò lei e lui da ogni orpello, dando dignità al corpo, tanto che divenne la divisa dell’American Gigolò Richard Gere. La sua ascesa nell’immaginario comune, a quel punto, era segnata e il 5 aprile del 1982 si prese la copertina del Time. Da quel momento diviene Re Giorgio, fondatore e pilastro del Made in Italy. Bramano i suoi abiti star come Nicole Kidman, Penelope Cruz, Sophia Loren, Diane Keaton, Cate Blanchett, Isabelle Huppert, Micherlle Pfeiffer e Julia Roberts, anche se la lista non è affatto completa. E, intanto, lui aggiunge al suo curriculum i costumi per più di 250 film, tra cui Gli Intoccabili e The Wolf of Wall Street. Re Giorgio sembra inanellare successi pensando già a cosa farà il giorno seguente e ammette di essere «concentrato sul lavoro, curioso e molto meno severo di quanto si pensi. Ma non mi sono mai fermato per compiacermi dei miei successi».
IL REGALO
Per i suoi 90 anni e per i 50 del suo marchio (il prossimo anno) l’autoregalo, però, sembra esserselo fatto, anche se leggermente posticipato: il 17 ottobre, infatti, ha organizzato una «One Night Only» a New York per inaugurare il suo nuovo quartier generale americano, al 760 di Madison Avenue. In quell’occasione sfilerà anche la sua donna per la primavera/estate 2025, che, in questo caso, non sarà presente nel calendario di Milano, a settembre. «Questa apertura è un traguardo personale importante perché concretizza la mia visione dello stile nella città che forse per prima l’ha davvero accolta», ha raccontato lo stilista, che ha sempre detto di non aver avuto «la classica folgorazione sulla via di Damasco per la moda», ma di aver studiato e osservato il fenomeno e, poi, appassionato. Probabilmente con la stessa ponderatezza, deciderà anche le sorti della sua azienda, che è un vero e proprio agglomerato di lifestyle.
IL FUTURO
L’ultimo bilancio disponibile del gruppo Armani è del 2022: i ricavi netti in quell’esercizio fiscale ammontavano a 2,35 miliardi di ricavi netti (in crescita del 16,5% rispetto all’anno precedente). Ad aprile, in un’intervista a Bloomberg aveva dichiarato: «L’indipendenza dai grandi gruppi potrebbe rappresentare ancora un valore trainante per il Gruppo Armani in futuro, ma non sento di escludere nulla», in qualche modo creando interrogativi su quella che sembrava la strada già segnata, ovvero una fondazione con potere decisionale affidato ai nipoti. Se il futuro dell’azienda, quindi, sembra non essere ancora scritto, sembra certo che, invece, il neo novantenne passerà la sua estate a Pantelleria, il suo buen retiro, a Cala Gadir.
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