15.05.2025
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Politics

«Il popolo è con me». Ma gli alleati non più


Nessuno lo vuole più, e c’è da capirli. I suoi alleati lo scaricano anche se Jean-Luc Mélenchon ha preso moltissimi voti, soprattutto vellicando il voto islamico, fomentando l’anti-occidentalismo un po’ alla Maduro dei giovani radicalizzati che lo considerano un guru (e invece è una vecchia volpe) e forzando (un suo classico) sulla polemica contro il capitalismo (adora le patrimoniali e “l’anche i ricchi piangano”) e sulla retorica anti-fascista (è un antico trozkista giacobino). Macron non vuole neppure sentirlo nominare. Il socialista riformista Glucksmann, che condivide con lui il successo del Nuovo Fronte Popolare, lo considera un tribuno del popolo inservibile in una logica di governo. Per non dire degli spagnoli alla Sanchez e dei migliori esponenti del Pd (ma nella sinistra italiana c’è chi, e sono moltissimi in zona rosso-verde, lo idolatra come fosse una super-Salis in cravatta rossa): Mélenchon? Vade retro!

LA PARABOLA

Lui, dall’alto della suo miracolo (non aveva toccato quasi palla alle Europee, pareva finito dopo che il 7 ottobre aveva solidarizzato più con i carnefici che con le vittime), se ne infischia di tanta solitudine. «Il popolo è con me», assicura il populista rosso. «Ora al governo andiamo noi», incalza. Sapendo benissimo che nessuno vuole andare al governo con lui, che al governo non andrà e in fondo ha tutto l’interesse a non andarci. Tra i vari tratti che lo accomunano a Le Pen (entrambi pesano per esempio nei settori sociali che disprezzano l’establishment), c’è anche questo: andare all’opposizione, capitalizzare la posizione e poi, fra tre anni, presentarsi per la quarta volta («Sono una tartaruga sagace che arriverà all’Eliseo», così si descrive) come candidato presidente della Repubblica in modalità io contro Marine, Marine contro di me e vediamo se vincerà il fascismo o l’anti-fascismo.

Il paradosso di Mélenchon è che è paleolitico ma piace ai giovani. I quali, sotto i 35 anni, hanno in gran parte votato per lui che pure è un residuato bellico del ‘900 delle ideologie, anzi della malafede ideologica. E comunque, il macigno Mélenchon — governare con lui o preferibilmente senza di lui, mentre lui ha già chiarito: «Chi mi vuole deve prendere per intero il mio programma», compreso il disimpegno negli aiuti all’Ucraina e una certa tendenza ad andare d’accordo con Putin — è quello che al momento grava sulle trattative per la formazione di un esecutivo.

Dopo lo choc del 7 ottobre, con le sue prese di posizione a favore di Hamas che considera gruppo di resistenza e non organizzazione terroristica, pareva finita la parabola di Mélenchon. Aveva passato il segno. Dalle urne delle Europee è uscito infatti ammaccato. Ma poi, la drammatizzazione del pericolo fascista e la forte propensione all’immigrazionismo più totale, tema che nelle banlieue fa presa, lo hanno resuscitato. «Il vincitore sono io e adesso li faccio ballare tutti quanti», dice in queste ore il tribuno del Nuovo fronte popolare già finito un minuto dopo il ballottaggio di domenica scorsa. E comunque, lui, il compagno Jean-Luc, si vanta di essere un «meticcio» nato a Tangeri, in Marocco nel 1951, è un ex dipendente iper-sindacalizzato delle poste, ex socialista e anche ex ministro con Jospin. Nel 2016, ha fondato France Insoumise (cioè indomita) in polemica contro la «gauche molle» e guida il movimento atteggiandosi a Fidel. Può un tipo così aspirare a governare un Paese moderno e una società che vuole crescita e non stagnazione da piani quinquennali?

TRA ROBESPIERRE E XI

Il personaggio, da non sottovalutare, ha qualcosa di grottesco. Filo Putin e filo Xi, antisemita, nostalgico di Robespierre e della Comune di Parigi. Come dare torto a chi, a cominciare dagli occasionali compagni di strada nella lotta anti-Le Pen, vuole tenerlo fuori dal perimetro delle alleanze di governo? Quando faceva il barricadiero, Conte si sentiva (pochette inclusa) il Mélenchon italiano. Ma Mélenchon ha oltrepassato Conte ed è indimenticabile la scena di quando il leader «indomito» ha travalicato le Alpi e si è presentato per incoronare, durante la campagna elettorale del 2022, Luigi de Magistris come suo rappresentante in Italia. Mélenchon auspica l’avvento di una nuova società, meno produttivista e più attenta all’ecologia, vuole tassazioni elevatissime perché «la lotta alla miseria la devono pagare i ricchi», tuona contro le diseguaglianze e il potere delle multinazionali. Questo è. E il Nazareno, sede del Pd, dovrà sforzarsi di tenerlo alla larga. Come già sta facendo ma guai a cedere alla gauche-gauche che anche quando vince in realtà non vince mai e soprattutto non fa vincere il Paese che dice di rappresentare.

Mario Ajello

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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