14.05.2025
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«In Rai zero censure. E io non cambio mai. La scorta? Ce l’ho ancora e vivo con la paura, ma vado avanti»


Massimo Giletti, buona la seconda. Anzi buonissima: così tanto da farsi perdonare dall’azienda — con l’8,1% di share raggiunto martedì sera su Rai3 — il flop dello scorso marzo con il dimenticabile La TV fa 70, il programma con cui il conduttore siglava il ritorno in Rai dopo l’uscita (burrascosa) da La7. Tornato con un programma di inchiesta, Speciale Ustica: una breccia nel muro, dedicato alla strage del volo IH870 (oggi il 44° anniversario), Giletti ha convinto un milione 277mila spettatori, battendo Cartabianca di Bianca Berlinguer su Rete 4. E preparando il terreno al suo “vero” rientro: una prima serata sul terzo canale, il lunedì.
 

Si aspettava questo risultato?
«Quando inizi un viaggio, anche se è un viaggio di ritorno, non sai mai cosa trovi. Si parlava di Paolo Corsini (il direttore degli approfondimenti Rai, che ha gestito il caso Scurati-Bortone, ndr) come di una specie di “uomo nero”, ma io ho avuto assoluta libertà. Nessuna censura. E Ustica ha implicazioni politiche non da poco, anche oggi». 
 

Di Ustica per anni si è occupato il giornalista Andrea Purgatori, scomparso nel 2023. Ha avvertito il peso dell’eredità?
«Andrea ha costruito il suo successo con una lotta condotta in solitudine, che merita rispetto. Credo che da lassù sia stato contento di vedere che qualcuno ritenga ancora che, per avere un paese migliore, serva prima di tutto recuperarne la memoria». 

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Il confronto fra il generale Tricarico e i parenti delle vittime di Ustica ha sollevato polemiche: era necessario?
«Tricarico ha avuto coraggio a sedersi davanti ai parenti e affrontarli non era facile. Ma capisco anche i parenti: nel sentirsi dire cose che ritengono lontane dalla verità, hanno manifestato sofferenza. È stato faticoso fargli accettare la presenza del generale. Ma è stato importante per un confronto civile». 

Chi l’ha chiamata mercoledì per primo per congratularsi?
«Corsini, anticipando di un attimo Giampaolo Rossi (il direttore generale Rai, ndr)». 
 

Urbano Cairo, il presidente di La7, l’ha chiamata? 
«Un giorno ci troveremo l’uno di fronte all’altro e mi dirà la verità (sulla chiusura del suo programma Non è l’Arena, ndr). Me lo deve, umanamente. Un’idea su quel che è successo io ce l’ho».
 

Cioè?
«Non condividerei mai vicende così personali». 
 

Sarà presto su Rai3 il lunedì, conferma?
«L’idea è di proseguire con una prima serata, fra un paio di mesi. Il lunedì sera. Farò quello che mi ha insegnato Minoli: gruppo e prodotto».
 

Esce dalla Rai nel 2017, fuori da La7 adesso. Che garanzie ha chiesto per restare?
«Io sono la mia garanzia. Chi mi prende sa chi sono. Rispondo solo alla mia coscienza e a quella del mio direttore. A 62 anni non cambio». 
 

La scorta ce l’ha ancora?
«Sì, è diventata parte della mia vita. Ce l’abbiamo io e Sigfrido Ranucci di Report: chi fa inchieste dà fastidio al sistema. Lo Stato dovrebbe farsi qualche domanda». 
 

Ha paura? 
«Vivo con la paura. Ma la paura non ti deve impedire di andare avanti».
 

Trenta pellegrinaggi a Lourdes. Ci va ancora?
«Sì, ma è una cosa che riguarda la mia vita privata. Avere fede è una ricchezza. Vede, per questo, nonostante il dolore, io Cairo lo perdono. Altrimenti, che senso avrebbe essere cristiani?».
 

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