29.05.2025
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Politics

«Taglierò le liste di attesa, visite ed esami anche sabato e domenica»


Noi contro loro. «Il motore dell’amore» contro «la rabbia, il livore, l’odio» di una sinistra che «usa la carta disperata del ‘mostro’». Non chiamatele elezioni. Il 9 giugno «sarà un referendum fra due visioni opposte dell’Europa. Due anni fa abbiamo vinto lo scudetto, ora vinciamo la Champions». In una Piazza del Popolo rovente, semipiena di bandiere di Fratelli d’Italia al vento, Giorgia Meloni cala l’ultima carta per le Europee. Trasformate in un grande all-in tra la sua idea di Europa, «concreta, coraggiosa, fiera» e quella che porta la firma dell’arcirivale Elly Schlein, «ideologica, centralista, nichilista».

LA SFIDA

L’ultimo bagno di folla della leader di Fratelli d’Italia è un duello rusticano con la sua migliore nemica in politica che chiama per nome e punge di continuo sollevando cori e grida sotto il palco montato all’ombra del Pincio: «Elly dove sei? Non ti nascondere, rispondi!». Sfumato lo scontro in diretta tv, riparte da qui la sfida a due per il consenso che si riapre su un terreno scivoloso, la Sanità.

«Nei prossimi giorni faremo un provvedimento per costruire un meccanismo nazionale di monitoraggio delle liste d’attesa — annuncia la presidente del Consiglio — ci saranno soluzioni per effettuare visite e prestazioni sanitarie, anche sabato e domenica». Eccolo, il jolly elettorale alla vigilia del voto che in tanti fra i suoi attendevano.

Una Meloni con l’elmetto irrompe nella piazza con un corteo di auto blu nel primo pomeriggio. Il caldo non spezza l’euforia dei militanti schiacciati davanti alle transenne. In delirio quando gli altoparlanti rilanciano l’audio della “vendetta” contro il governatore campano Vincenzo De Luca a Caivano: «Salve, sono la str…. della Meloni». Boatos. È il vero jingle di quest’ultimo miglio di campagna elettorale.

Si snoda lungo un doppio registro, tra pop e politica, l’ultimo comizio di Giorgia la capo partito e Meloni la premier. «Siamo abituati a non abbassare la testa e a non darla vinta a bulli e gradassi — torna sulla sfida allo “Sceriffo” di Salerno — sono una donna e pretendo lo stesso rispetto che do agli altri. Eccola la parità, eccolo l’orgoglio femminile, quello che gli altri non sanno più difendere». C’è tutto lo stato maggiore di Fratelli d’Italia a battere le mani. Una colonna dei giovani di FdI scende dal Pincio, canta in coro e issa cartelli di scherno contro i giornalisti “nemici”: Annunziata, Floris, Fazio, «scrivete Giorgia anche se a loro dà fastidio». In prima fila un militante nostalgico urla «Vincere e vinceremo!»: silenzio e imbarazzo. Sul palco i colonnelli di via della Scrofa, la sorella Arianna, il capo dell’organizzazione Giovanni Donzelli, i candidati alle Europee e alle amministrative. In piazza, fra la “gente”, i ministri in maniche di camicia: Lollobrigida e Fitto, Ciriani e Santanchè.

Guai a invertire i ruoli: «Qui entra solo lo staff», replica impassibile dietro le transenne la deputata piemontese Augusta Montaruli versione security al Guardasigilli Carlo Nordio e la sua scorta, un po’ spaesati. Sarà questa la separazione delle carriere? La mobilitazione è massima in vista di un voto «maledettamente importante» che fa trattenere il respiro alla destra italiana. Spaventa soprattutto l’astensione e infatti Meloni si lancia in un nuovo appello a uscire di casa: «Ho rinunciato a tutto quello a cui potevo rinunciare solo perché non volevo deludervi. Vi chiedo in cambio solo 5 minuti per dirmi che siete al mio fianco». A Roma ci sono tutti, tranne gli alleati, Antonio Tajani e Matteo Salvini, distratti dalle rispettive piazze finali. Meloni manda loro «un abbraccio» e rivendica «una maggioranza ampia e coesa».

GLI EQUILIBRI EUROPEI

Da replicare in Europa, se possibile. E si potrà fare, promette lei archiviando ancora una volta l’opzione Ursula, una coalizione “arcobaleno” con i socialisti Ue. «Costruiremo una maggioranza alternativa alla sinistra, qui si fa la storia». Le parole del candidato alla Commissione socialista Schmit su una destra europea «antidemocratica» innescano la miccia. «La sinistra fa terapia di gruppo. Se non sono un leader democratico, cosa sono? Un dittatore? Si fa la lotta armata per depormi? Sono dichiarazioni deliranti, irresponsabili, fornite alibi agli estremisti per avvelenare le nostre democrazie», grida Meloni e rieccola puntare Schlein, «Elly, è una domanda semplice, condividi sì o no?». L’arringa prosegue a difesa del programma di governo.

Premierato, «i Cinque Stelle non lo vogliono, come avrebbe fatto Conte a diventare premier quando gli italiani non sapevano chi fosse?». E poi ancora migranti, «mandiamo un abbraccio al premier albanese Edi Rama». La Rai, «TeleMeloni? Semmai non c’è più Tele-Pd». C’è anche la giustizia. Gli occhi di Carlo Nordio, riparati da un cappellino da baseball, hanno un lampo. «Lo sciopero dell’Anm? Speriamo di evitarlo» confida al Messaggero. «Non vogliamo magistrati sottomessi al governo, mai. E non toccheremo l’obbligatorietà dell’azione penale». La leader spezza qua e là con balletti stile Trump, scenette e facce per ravvivare la folla sudata. Una signora sviene, arriva un medico: «Un applauso, fa caldo lo so», la conforta lei. Chiude l’inno d’Italia, il cambio look dietro il palco per tornare Meloni la presidente e scaricare la tensione a passeggio nei giardini del Quirinale.

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