Un bonus all’ultimo miglio. Settantamila euro. Con venti giorni di anticipo sul Natale e a dieci giorni dalla nomina in Cdm dei nuovi componenti il collegio uscente di Arera, l’autorità indipendente che regola le reti di pubblica utilità, ha deciso di aumentarsi lo stipendio. È tutto scritto in una delibera approvata dal presidente in scadenza Stefano Besseghini e dai commissari, visionata dal Messaggero. Titolo: «Abrogazione del limite retributivo dei dipendenti pubblici». Svolgimento: dal momento che la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il tetto ai dipendenti pubblici e «in attesa di ulteriori approfondimenti normativi», i cinque commissari in Arera ormai sull’uscio hanno votato a favore di un ritocco in busta paga.
«Si ritiene opportuno rideterminare e accantonare gli emolumenti spettanti ai componenti del Collegio secondo quanto stabilito dalla normativa previgente alla sentenza stessa della Corte Costituzionale» scrivono i componenti del collegio nella delibera datata 25 novembre. Ed ecco le cifre: «La variazione a copertura dei maggiori oneri per le indennità al Presidente e ai Componenti del Collegio dell’Autorità viene, pertanto, stimata in aumento per un importo pari a 70.000,00 euro». L’aumento delle indennità sarà spalmato sugli ultimi cinque mesi dell’anno, da agosto a dicembre 2025, perché la sentenza della Consulta che ha annullato il tetto retributivo dei manager pubblici risale a luglio scorso. Conti alla mano si tratta di circa 2800 euro in più al mese per ognuno dei commissari dell’Authority che regola le reti pubbliche. Non male se è vero che i cinque componenti in uscita a fine dicembre — oltre a Besseghini, Gianni Castelli, Andrea Guerrini, Stefano Saglia e Clara Poletti — hanno incassato già oggi il massimo stipendio possibile per legge: 255mila euro lordi annui, questa la cifra indicata sul sito ufficiale.
IL PRECEDENTE BRUNETTA
Un vero e proprio blitz. Suscettibile di riaccendere il dibattito politico su una questione assai divisiva, ovvero il tetto ai salari dei manager pubblici. La vicenda richiama il caso Brunetta, il presidente del Cnel finito un mese fa al centro delle cronache per una delibera che aumentava il suo stipendio a Villa Lubin, motivata proprio con la sentenza della Consulta che ha cancellato il tetto a luglio. Salvo poi fare pubblicamente marcia indietro. Complice l’irritazione della stessa premier Giorgia Meloni e del governo per una mossa ritenuta “inopportuna” di fronte all’opinione pubblica, tanto più nelle settimane in cui tra Palazzo Chigi e Mef si lima una Manovra dai margini strettissimi. Il polverone del caso Cnel è durato per giorni. Al punto da convincere il governo — e nello specifico il ministero della Pa di Paolo Zangrillo — a lavorare a una circolare che limiti a una cerchia strettissima di alti funzionari pubblici la possibilità di ottenere uno stipendio superiore al vecchio tetto di 240mila euro (250mila euro dopo una rivalutazione del 2024). Nell’attesa l’Arera si è mossa.
Notevole il tempismo. La delibera e l’allegato che giustifica l’accantonamento dei 70mila euro, dicevamo, risalgono al 25 novembre. Mercoledì scorso, durante il Cdm, il governo ha designato i nuovi componenti del collegio Arera, in carica dal prossimo gennaio: al neo-presidente Nicola Dell’Acqua, già commissario straordinario per l’emergenza idrica, saranno affiancati Alessandro Bratti, Livio De Santoli, Lorena De Marco e Francesca Salvemini. In un allegato al documento di fine novembre il collegio guidato da Besseghini illustra le ragioni giuridiche che hanno convinto i commissari dell’aumento in busta paga, spalmato sugli ultimi cinque mesi di mandato.
Specificano di procedere all’accantonamento «in via precauzionale e in attesa di ulteriori approfondimenti normativi nonché di ulteriori decreti attuativi sul “tetto retributivo» della Consulta. Ovvero nelle more del provvedimento — una circolare o un decreto, resta da decidere — con cui il governo metterà un freno all’inflazione retributiva dei top manager pubblici dopo il caso Cnel. Non è dato sapere quando arriveranno le nuove linee guida. Ma intanto c’è chi ha rotto gli indugi.
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