Neanche il tempo di riassettare il mobilio dello Studio Ovale, ed ecco che a Roma, in Parlamento, inizia a camminare la “legge Trump”. Dal patron di Facebook e Instagram Mark Zuckerberg agli altri guru digitali (sì, anche Musk), tutti avvisati: d’ora in poi, le piattaforme di social network che censureranno e oscureranno politici per le loro idee, in Italia, potrebbero incappare (se la proposta andrà avanti e sarà approvata) in multe salatissime dell’Agcom: fino a mezzo milione di euro. Neanche a dirlo, la proposta di legge porta la firma di Fratelli d’Italia.
IL TESTO
Da un lato Sara Kelany, responsabile immigrazione del partito, dall’altro Francesco Filini, uomo forte di via della Scrofa. Depositata a marzo, la “legge Trump” contro la censura social ha preso a camminare in Commissione cultura alla Camera, dove è stata incardinata lo scorso 28 ottobre, a meno di una settimana dal voto che ha (ri)spalancato le porte della Casa Bianca al Tycoon repubblicano. Che viene chiamato in causa, senza troppi giri, nella premessa dei parlamentari del partito meloniano. Accusano i big della Silicon Valley di “forme intollerabili e patentemente orientate” di gestione dei principali social network. Ed ecco il richiamo a Trump, oscurato da Fb (Meta), Instagram e l’ex Twitter dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.
«Uno dei casi più eclatanti fu la censura sine die da Twitter dell’ex presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, che suscitò polemiche e prese di posizione anche da parte di figure di alto livello come la cancelliera tedesca Merkel», annotano in premessa i parlamentari vicini a Meloni. «Un grave precedente», così lo chiamano, «perché all’epoca la censura colpì Donald Trump ma oggi chi può dirsi al riparo da destini analoghi?».
Segue illustrazione delle forme di “censura”, perfino di “cripto-censura” messe in atto dai big del settore. E via con la lista di nomi, da Meta a Twitter. Nel dettaglio, la legge abbozzata da FdI si applica a tutte le piattaforme social con «un numero medio mensile di utenti, anche non attivi, pari o superiore a centocinquantamila unità». E muove guerra agli algoritmi che via via decidono chi e come, nella bolla social, può godere dei riflettori o sparire nell’ombra, come è successo a Trump congedato dalla Casa Bianca. «Le valutazioni relative alla gestione delle notizie e dei profili con rilevanza sociale e politica devono essere effettuate da persone fisiche identificabili».
LE SANZIONI
Poi le contromisure. Durissime. Sanzioni da 5mila a 500mila euro dell’Agcom per chi non si adegua. Accompagnate dal divieto ferreo di censurare o mettere in secondo piano personaggi politici per le loro idee. «È espressamente vietata qualsiasi forma di alterazione e manipolazione della visibilità di informazioni e notizie». Certo, da quando su “Donald” è calata la scure della censura social ne è passata di acqua sotto i ponti.
Oggi, per dire, Twitter si chiama X, come il figlio di Elon Musk, il genio eccentrico che lo ha acquistato, promette guerra, proprio come FdI, a qualsiasi forma di censura e ha una gamba, anche due, dentro allo Studio Ovale. Perfino Zuckerberg, il guru di Facebook e Instagram, ha espresso simpatie per il presidente rieletto, che da tempo ormai twitta e posta senza sosta né censure. Chissà se il partito della premier porterà fino in fondo la “legge Trump”, che può diventare un boomerang per Elon, il volto più amico di Meloni nella Silicon Valley. Intanto cammina in Parlamento. Nel nome di Donald.
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