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«Io non sono una direzione creativa. Io sono prima di tutto Alessandro». Sala gremita, studenti delle scuole di moda commossi: bagno di folla per Alessandro Michele che al Vogue Forces of Fashion nell’ex Mattatoio della sua Roma parla dell’esordio da Valentino, del suo libro e della moda in generale.
La scelta di Valentino? «È stata una cosa come l’amore — ha spiegato — Mi sembrava una scommessa molto diversa dal mio lavoro precedente e un posto abbastanza unico, molto intimo, molto eccentrico: un posto pieno di vita.
Se pensavo a Valentino non pensavo a un brand ma a un luogo dove erano successe delle cose: sembrava un film. Valentino è mitologia e come la mitologia si tramanda. Infatti diciamo che la mia è una co-direzione: devi stare attento a rispettare il karma di questa storia mitologica».
Cappellino da baseball, camicia con maniche a sbuffo e jeans, Alessandro Michele è anche lui un personaggio quasi mitologico come testimonia il pienone al suo talk condotto dalla direttrice di Vogue Italia Francesca Ragazzi. «È una vera e propria malattia, mi piace lavorare, imparare, sentirmi ancora adolescente nel lavoro — racconta — È come smettere di vivere se non si è ancora adolescenti, se non si è sempre in una fase di apprendimento, io che sono nato a cavallo di due ere gigantesche con straordinari cambiamenti tecnologici».
Un velato riferimento c’è anche alle critiche che gli sono state mosse dopo la prima sfilata per la maison: troppo nel suo stile e poco in quello di Valentino, ha detto qualcuno. Ma «gli abiti che ho toccato da Valentino erano le reliquie di vite altrui e ho pensato che quell’idea di vita andasse celebrata — dice il direttore creativo — Nello show di Parigi qualcuno ha pensato ci fosse qualcosa di malinconico. Ma per me è stato mettere in scena l’idea di quella frivolezza che diventa quasi un canto religioso, una necessità alla quale non riusciamo a sottrarci».
Detto ciò, siamo quel che siamo, e Alessandro Michele di questo è l’emblema: «Donatevi alla vita, siate giocatori d’azzardo, non lasciamo che i falsi miti ci confondano e ci offuschino l’anima — Prima di tutto noi ‘siamo’. Prima dei numeri, ci sono persone e passioni, soprattutto lavoro».
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