Notizie Nel Mondo - Notizie, affari, cultura Blog Politics «Un uomo onesto». Alla Cultura va Giuli
Politics

«Un uomo onesto». Alla Cultura va Giuli


Alle cinque di sera, come il torero di Garcia Lorca, Gennaro Sangiuliano smette di lottare, esce di scena. Un messaggio irrompe nella chat whatsapp del Consiglio dei ministri: «In lacrime vi abbraccio tutti». Dimissioni «irrevocabili»: scrive così in una lettera a Giorgia Meloni il ministro della Cultura ormai sull’uscio, travolto dal Boccia-gate, sfidato dall’ex amante e consigliera-ombra Maria Rosaria Boccia. «Caro presidente, cara Giorgia». Dopo ore di dubbi, tormenti, confronti anche duri con amici, collaboratori e la premier, l’ex direttore del Tg2 prende carta e penna. Non ha commesso illeciti, giura, dimostrerà che non ha speso un solo euro pubblico per la liason privata al ministero. Si dimette perché ora ha bisogno di «stare accanto a mia moglie che amo» e porre fine a «giornate dolorose e cariche di odio nei miei confronti da parte di un certo sistema politico mediatico». Il governo trova una via d’uscita dal caso Sangiuliano che per sette giorni ha mozzato il fiato al centrodestra. Alessandro Giuli, presidente del Maxxi, penna e mente amata dalla destra entrata a palazzo, giura al Quirinale alle 19 come nuovo ministro, davanti a Meloni, Sergio Mattarella, Alfredo Mantovano.

Sangiuliano: «Torno in Rai, ma non voglio un ruolo di potere. A posto con la coscienza. Starò vicino a mia moglie»

L’ESCALATION

La premier respira di nuovo, al termine di una giornata al cardiopalma. Concede l’onore delle armi al ministro dimissionato: «Ringrazio sinceramente Gennaro Sangiuliano, una persona capace e un uomo onesto, per lo straordinario lavoro svolto finora, che ha permesso al Governo italiano di conseguire importanti risultati di rilancio e valorizzazione del grande patrimonio culturale italiano, anche fuori dai confini nazionali». Segue avviso ai naviganti: «Proseguirà l’azione di rilancio della cultura nazionale, consolidando quella discontinuità rispetto al passato che gli italiani ci hanno chiesto e che abbiamo avviato dal nostro insediamento ad oggi». In serata Boccia, l’amante delusa, vendicativa, rilascia una nuova intervista a In Onda su La7. E ha il suono della beffa: «Le dimissioni? Non sono contenta, meritava quel posto, è una persona brava e competente». È stato un giorno di passione per il governo. Le montagne russe iniziano di primo mattino. Funestato dall’attesa per le nuove rivelazioni tv di Boccia. Meloni lancia un segnale chiaro poco dopo le 8: annulla la trasferta a Verona, partecipa solo da remoto al G7 dei Parlamenti. Deve restare a Roma, mettere un punto a una vicenda che imbarazza il governo, riempie di inchiostro i giornali, mette a rischio il G7 Cultura di Napoli. Poche ore dopo, un altro colpo: la Corte dei Conti ha messo nel mirino l’affaire tra Sangiuliano e Boccia, vuole vederci chiaro sulle trasferte del ministro e dell’influencer di Pompei sull’auto di scorta. Sopralluoghi, missioni istituzionali, ma anche cene, forse concerti. Possibile l’apertura di una istruttoria per danno erariale già la prossima settimana. Il ministro non arretra, rilancia: «Bene l’interessamento della Corte dei conti, così chiarirò tutto». È deciso a lottare, o così sembra mentre si chiude al ministero con i suoi avvocati per studiare la controffensiva legale: un esposto in procura e la denuncia di Boccia. Dai giornali e tv l’affaire che fa tremare l’esecutivo atterra in tribunale, diventa battaglia giudiziaria anche per l’esposto in procura presentato da Angelo Bonelli, leader dei Verdi.

LA RESISTENZA

Lo scenario più temuto da Palazzo Chigi. Sangiuliano resiste, o ci prova: in mattinata fa un blitz davanti al Colosseo, visita l’Arco di Costantino danneggiato da un fulmine. Ma è già tardi: la resa è nell’aria. A Palazzo Chigi temono uno stillicidio quotidiano. Meglio troncare subito. Meloni sente il ministro più volte, poi Giuli. Decide di staccare la spina, amareggiata però per una storia che ha alle spalle – ne è convintissima – una «regia esterna». Nel pomeriggio sale al Quirinale, parla con il Capo dello Stato dell’imminente cambio della guardia al Collegio Romano. Sangiuliano a questo punto cede. Nella missiva pubblica alla presidente del Consiglio rivendica di aver messo fine «alla vergogna tutta italiana dei musei e dei siti culturali chiusi durante i periodi di ferie». Si toglie qualche macigno dalla scarpa: ha bisogno «di avere le mani libere per agire in tutte le sedi legali contro chi mi ha procurato questo danno» e farlo da privato cittadino perché «questo lavoro non può essere macchiato e fermato da gossip». Adombra infine anche lui il sospetto di una regia esterna: «Andrò fino in fondo per verificare se alla vicenda abbiano concorso interessi diversi». Quando le dimissioni sono ormai ufficiali, fiocca la solidarietà dei colleghi ministri. Piantedosi: «Mi onoro della sua amicizia». Tajani: «È stato un ottimo ministro, ha fatto una scelta che gli permette di essere libero». Asciutto Matteo Salvini: «Un abbraccio e un ringraziamento a Gennaro Sangiuliano». Non mancano sorprese: squilla il cellulare, dall’altra parte c’è Giuseppe Conte. «Ho avuto un moto istintivo per esprimere solidarietà umana, non politica», spiega il leader dei Cinque Stelle. Assai meno clemente la segretaria del Pd Elly Schlein: «Dimissioni tardive». Meloni si prepara a salire su un aereo, direzione Forum Ambrosetti a Cernobbio per il test con il gotha di finanza e imprese. Lascia alle spalle il pasticcio del Collegio Romano che ha fatto saltare il suo primo ministro in due anni. Spera, anzi è convinta di aver fermato in tempo un pericoloso effetto domino.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Exit mobile version