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un golpe, il Pil Usa giù dello 0,2%


Tre giudici federali della US Court of International Trade hanno bloccato ieri le tariffe imposte da Donald Trump alla Cina e ad altri Paesi, sostenendo che la legge federale da lui utilizzata non dia al presidente «l’autorità illimitata» per tassare le importazioni di prodotti da quasi tutti gli Stati del mondo. Poi, in serata, la Corte d’Appello federale — alla quale l’amministrazione Trump si era rivolta per presentare ricorso contro la decisione — ha deciso di sospendere il blocco mantenendo i dazi in vigore. Per ora.

Non è, infatti, ancora chiaro quando e in che modo le tariffe saranno bloccate: prima dell’intervento della Corte d’Appello, la sentenza della U.S. Court of International Trade aveva concesso alla Casa Bianca 10 giorni per svolgere i processi burocratici e bloccarle. La decisione dei giudici riguardava le tariffe imposte il 2 aprile a tutti i Paesi del mondo, compresa la Cina, e quelle contro il Canada e il Messico: se fosse entrata in vigore, il blocco avrebbe riguardato le tariffe universali del 10% su tutti i prodotti in entrata, le tariffe per colpire il traffico di fentanil, che coinvolgono la Cina con il 20%, il Messico e il Canada con il 25% su alcuni prodotti, e infine tutte le altre tariffe universali che sono già state sospese per 3 mesi, periodo indicato da Trump per cercare di arrivare a un accordo commerciale.

Dazi Usa, niente stop (per ora). Corte d’appello: «Le tariffe di Trump restano in vigore». Sospesa la sentenza del tribunale

LA LEGGE

La decisione dei giudici non avrebbe invece coinvolto tutti i dazi che colpiscono i settori specifici come quelli già in vigore su alluminio, acciaio e sulle automobili e quelli preannunciati sui medicinali e sui microchip. Questi ultimi sono stati imposti usando un’altra legge, la Section 232 del Trade Expansion Act (Tea), che consente al presidente di modificare i dazi su alcuni prodotti specifici se il Segretario al Commercio ritiene che sia una questione di sicurezza nazionale. I tre giudici che hanno provato a bloccare Trump sono stati nominati da tre diversi presidenti: Ronald Reagan, Barack Obama e Donald Trump stesso. Sempre ieri un giudice di un tribunale di Washington ha stabilito, in una sentenza separata, che i dazi imposti da Trump sono incostituzionali.

«Viviamo in una tirannia giudiziaria», aveva commentato il vice chief of staff della Casa Bianca, Stephen Miller, parlando di «colpo di stato dei giudici». Ma la questione in questo caso non è politica, come Trump e la sua amministrazione vorrebbero fare credere, ma è puramente legale: il presidente non ha l’autorità di usare l’International Emergency Economic Powers Act, una legge del 1977, per imporre tariffe ad altri Paesi. La legge, infatti, è stata pensata per imporre l’embargo o una serie di sanzioni in situazioni di crisi internazionale che mettono a rischio la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

E invece, per la prima volta nella storia, Trump e i suoi legali hanno cercato di dare un’interpretazione alla legge che i giudici hanno ritenuto illegale. La decisione dello U.S. Court of International Trade è arrivata dopo che un gruppo di 12 Stati americani guidati dall’Oregon, insieme a cinque piccole aziende colpite dai dazi, hanno deciso di far causa all’amministrazione. Intanto, i dati sul pil dei primi tre mesi dell’anno pubblicati dal dipartimento del Commercio sono risultati leggermente migliori delle attese, con una contrazione dello 0,2% anziché dello 0,3% indicato nella lettura preliminare. Sempre nel primo trimestre, le importazioni sono invece aumentate raggiungendo la percentuale annua del 42,6%, rispetto alle stime di 41,3%: una crescita legata alle tariffe e al tentativo delle aziende di fare scorte. I mercati, ieri, sono rimasti piatti in attesa di capire in che modo lo scontro si risolverà.

IL COLLOQUIO

Sempre ieri, il presidente della Fed Jerome Powell ha incontrato alla Casa Bianca Trump che nei giorni scorsi lo aveva aspramente criticato per non aver tagliato i tassi. In una nota la banca centrale Usa ha sottolineato che i due hanno parlato di crescita, occupazione e inflazione. «Powell non ha parlato delle aspettative di politica monetaria, ma ha messo in evidenza che la via» da intraprendere «dipenderà interamente dalle informazioni economiche e da quello che significano per l’outlook». L’amministrazione Trump ha fatto sapere che entro oggi potrebbe sottoporre il caso direttamente alla Corte Suprema. «Se qualcuno pensa che questa decisione ci abbia colti di sorpresa, si sbaglia di grosso: non è cambiato nulla», aveva avvertito in un’intervista a Bloomberg il consigliere economico del tycoon, Peter Navarro, ideologo delle politiche commerciali trumpiane, «abbiamo altre opzioni» e «troveremo il modo di imporre i dazi anche se dovessimo perdere la battaglia legale».

La decisione della U.S. Court of International Trade avrebbe rappresentato un «colpo per l’amministrazione», aveva detto Josh Lipsky, esperto dell’Atlantic Council ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale. I timori della Casa Bianca erano legati al futuro dei negoziati: i consiglieri di Trump temevano, infatti, che la decisione dei giudici avrebbe tolto una leva al presidente rendendo le sue parole meno minacciose per gli altri Paesi. Il segretario di Stato Marco Rubio, quello al Commercio Howard Lutnick e quello al Tesoro Scott Bessent si erano trovati concordi sul fatto che l’azione del tribunale avrebbe distrutto un accordo preliminare con la Cina — che continuano a sostenere sia già raggiunto — rendendo difficili le discussioni con tutti gli altri Paesi nei prossimi mesi.

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