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Tasse, il 15 per cento dei contribuenti paga più del 60 per cento del totale


I numeri si possono descrivere in diversi modi. Si può dire che il 15 per cento dei contribuenti italiani, paga il 63 per cento di tutte le imposte. Oppure che chi guadagna oltre 55 mila euro di reddito porta addosso il peso del 42 per cento dell’intero ammontare delle tasse. Oppure che il 40 per cento degli italiani si fa carico del 90 per cento del gettito fiscale. Comunque la si metta, il risultato è sempre lo stesso: in pochi pagano tanto, mentre moltissimi altri pagano decisamente poco o nulla. Quello descritto nelle tabelle presentate dal Centro studi Itinerari previdenziali, raccontano bene il paradosso italiano. Un Paese spaccato a metà nel quale oltre il 93% dell’Irpef è pagato dal 46,81% dei contribuenti, quelli che dichiarano più di 20mila euro di reddito. Mentre il 53,19% dichiara redditi inferiori a questa soglia e versa il 6,31% dell’intera Irpef. In Italia solo il 5,45% dei contribuenti dichiara di guadagnare oltre i 55mila euro e paga il 41,7% delle imposte complessive. Il rapporto sottolinea come la spesa assistenziale e sanitaria gravi quindi solo su una parte minoritaria della popolazione. «Il 75,80% dei contribuenti — si legge — dichiara redditi da zero fino a 29mila euro, corrispondendo solo il 24,43% di tutta l’Irpef, un’imposta neppure sufficiente a coprire la spesa sanitaria». Il report indica come nel 2022 l’Italia abbia complessivamente destinato alla spesa per protezione sociale — pensioni, sanità e assistenza — 559,513 miliardi di euro, vale a dire oltre la metà di quella pubblica totale (il 51,65%).

I CAMBIAMENTI

Rispetto al 2012, «la spesa per il welfare, si legge nel rapporto, è aumentata di 127,5 miliardi strutturali (+29,4%): un aumento ascrivibile soprattutto al capitolo assistenza che sotto la spinta delle promesse di una politica in perenne campagna elettorale e gonfiata anche dall’inefficienza di una macchina organizzativa tuttora priva di un’anagrafe centrale delle prestazioni, è cresciuta del 126,3%, a fronte del solo 17% della spesa previdenziale». Nel complesso, se per Inps e Inail si può parlare di equilibrio, vale a dire di un sistema pensionistico e assicurativo in grado di autosostenersi con i contributi versati da lavoratori e imprese, lo stesso non può dirsi per assistenza (circa 157 miliardi di euro), sanità (intorno ai 131 miliardi l’importo della spesa) e welfare degli enti locali (circa 13 miliardi) che, in assenza di contributi di scopo, devono appunto essere sostenuti attingendo alla fiscalità generale. Un totale — si spiega — di oltre 300 miliardi di euro per il quale sono occorse pressoché tutte le imposte dirette Irpef, addizionali, Ires, Irap e anche 23,77 miliardi di imposte indirette, in primis l’Iva. Intanto ieri il consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva i primi tre testi unici: giustizia tributaria, tributi erariali minori e sanzioni tributarie amministrative e penali». Ad annunciarlo è stato il viceministro dell’Economia e delle Finanze Maurizio Leo. «Questi provvedimenti», ha detto, «rappresentano un tassello fondamentale verso una maggiore chiarezza del sistema fiscale italiano, rendendo più agevole la comprensione e l’adempimento delle norme per cittadini e imprese. Ogni testo unico che approviamo, infatti, riduce la frammentazione normativa e semplifica la vita dei contribuenti».

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