Non solo fast food, dolci o fritti. Ma anche diete e modelli nutrizionali improvvisati e non elaborati da medici o specialisti. La cattiva alimentazione determina decine di disturbi e patologie, pesando sul sistema sanitario per oltre 12 miliardi di euro l’anno e causando una contrazione del Pil di 56 miliardi. Una sorta di sovrattassa da 289 euro a persona ogni anno. È quanto emerge da un rapporto del comitato scientifico della Fondazione Aletheia, con il patrocinio del ministero della Salute e presentato ieri a Roma nella sede del dicastero. Secondo i dati del think thank presieduto da Stefano Lucchini e diretto da Riccardo Fargione, i rischi della cattiva alimentazione sono quindi legati agli effetti deleteri sulla salute di ognuno e ai costi monstre per lo Stato. Quindi per le tasche dei cittadini.
I costi sanitari delle malattie determinate dalla cattiva alimentazione determinano una contrazione annua del Pil europeo del 3,3% (2,8% in Italia). Le diete dannose più diffuse sono incentrate su prodotti ultra-processati con l’aggiunta di molti additivi chimici. Insomma regimi alimentari non scientifici e deleteri soprattutto per dimagrire o magari abbinati allo sport nel tentativo di mettere massa muscolare.
GLI EFFETTI
Più nel dettaglio, solo l’incremento del sovrappeso legato a stili nutrizionali errati rappresenta il 9% della spesa sanitaria nazionale (i 12 miliardi, appunto). Nonostante l’Italia presenti valori migliori per quanto riguarda il tasso d’obesità, nel 2023 l’eccesso di peso ha interessato il 46,4% della popolazione maggiorenne. In venti anni si registra una crescita del 7,1% delle persone in sovrappeso e del 36,4% di quelle affette da vera e propria obesità. A questo si aggiunge anche un aumento dell’incidenza di diabete, che passa dal 6,3% del 2021 al 6,6% nel 2022 (ultimo dato con una crescita negli ultimi venti anni del 65%. Il rapporto evidenzia, poi, come una riduzione del 20% delle calorie assunte da alimenti ad alto contenuto di zucchero, sale e grassi saturi potrebbe prevenire in Italia 688mila malattie croniche entro il 2050 e far risparmiare 278 milioni di euro l’anno di spesa sanitaria: circa 7 miliardi nei prossimi 25 anni. Per mangiare, quindi, oltre ad affidarsi eventualmente a dei professionisti, è necessario fare attenzione alla qualità dei prodotti assunti in termini di composizione nutrizionale e sotto l’aspetto della sicurezza alimentare.
I prodotti italiani, segnala Aletheia, risultano i più controllati dalle autorità europee (oltre 11,3mila campioni analizzati), seguono quelli francesi e tedeschi. Nel confronto circa il 10,3% dei campioni di origine extra Ue ha registrato livelli di contaminazione da fitofarmaci superiori ai limiti di legge, ben 5 volte superiore a quelli di origine Ue (2%). Uno dei possibili argini alla cattiva alimentazione, secondo il report, è la cosiddetta “dieta mediterranea”, una costellazione di regimi alimentari nata negli anni ‘60 tra Spagna, Grecia e Italia e inserita nel patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Secondo Claudio Franceschi, professore emerito di immunologia all’università di Bologna «ha una serie di effetti favorevoli sulla composizione corporea, lo stato infiammatorio cronico dell’invecchiamento e sui parametri cognitivi».
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