Notizie Nel Mondo - Notizie, affari, cultura Blog Politics «Se la città resta ferma perderà e sfide future. la Cina sta creando quartieri-spugna per incalanare l’acqua»
Politics

«Se la città resta ferma perderà e sfide future. la Cina sta creando quartieri-spugna per incalanare l’acqua»


Due giorni all’Arsenale di Venezia, per studiare come i cambiamenti climatici influiscono sulle nostre città e per vedere qualche soluzione nuova a questa immensa tematica. Il Soft Power Club animato da Francesco Rutelli, insieme alla Biennale presieduta da Pietrangelo Buttafuoco e con il sostegno della società Proger che è al centro di un’infinità di progetti di innovazione (la guida Marco Lombardi) sta riunendo fino a stasera studiosi e tecnici (da Erasmo D’Angelis a Chicco Testa, da Carlo Ratti a Giulio Boccaletti, e in più il ministro Pichetto Fratin) per capire quello che si può fare.

Francesco Rutelli, come devono cambiare le nostre città di fronte alle aggressioni della natura e ai problemi energetici?
«Vanno ripensate completamente. Occorre abbattere, ricostruire, rigenerare. E questa è un’attività industriale; professionale, nel senso che crea nuovi posti di lavoro e nuovi mestieri; e di miglioramento della vita dei cittadini. Occorre giocare d’anticipo».

Invece l’Italia è sempre lamentosa e ritardataria?
«Basta lagne e attiviamoci. Ci siamo accorti dopo troppo tempo che la Cina ha preso 10 anni di vantaggio rispetto a noi sui veicoli elettrici, sulle batterie, sui pannelli solari e ora sta creando le città-spugna».

Ossia?
«Il cambiamento climatico porta siccità prolungate, incendi enormi, precipitazioni intense e violente. Noi paghiamo i danni di tutti questi fenomeni sia quando manca l’acqua sia quando ne arriva troppa. I quartieri-spugna sono quelli in cui si incanala l’acqua, si raccoglie e si utilizza. Si tratta di una immensa opportunità».

Quando avremo in Italia le città-spugna?
«Già sono in corso importanti sperimentazioni a Genova, che è sottoposta da sempre a stress idrogeologici. Si sta iniziando a Milano. E anche Roma ha annunciato un programma per l’adattamento della Capitale a questi fenomeni. Si sta inoltre sperimentando un cemento che mantiene le sue caratteristiche strutturali ma fa traspirare l’acqua e dunque permette di creare dei bacini di raccolta. Ricordiamoci sempre che in Italia gli acquedotti disperdono oltre il 40 per cento dell’acqua che esportano. Uno spreco assurdo. Ma Acea sta lavorando bene per evitarlo, riqualificando reti e tecnologie».

Ma è vero che negli anni 70 raccoglievamo più acqua piovana di adesso?
«Purtroppo, sì. Abbiamo decine di dighe fuori uso. L’acqua è indispensabile per l’agricoltura, per l’industria, per la tecnologia, per l’edilizia. E c’è dunque una grande priorità per il nostro Paese: quella di trasformare il ritardo su tutte queste questioni, climatiche, ambientali e infrastrutturali, in un contropiede di modernità».

Lei, che ha scritto un saggio su Città vince città perde, come vede la città del futuro?
«La città che perde, e che danneggia i propri cittadini, è quella che rimane ferma. Ci sono eventi naturali estremi e ci saranno sempre di più, e questo deve spingerci a investire per prevenire i disastri anziché pagare dieci volte di più per ripararli».

In questo discorso come rientra l’arretratezza italiana nelle infrastrutture?
«Le parlo intanto delle infrastrutture digitali. A proposito di ritardi, l’Europa non si è accorta che Musk posizionava nello spazio più di 7000 satelliti. Con i satelliti, cioè con i dati, ci fai tutto: i servizi, la mobilità, le informazioni che spostano il mondo. Adesso la Ue ha deciso di creare la sua rete ma sarà tardiva e molto inferiore a quella di Musk. I satelliti cambieranno sempre di più la vita delle nostre città che è fatta, per un’infinità di aspetti, di connessioni».

E le infrastrutture fisiche?
«I ponti, i porti, le strade, le ferrovie sono sottoposte a un super stress a causa del calore estremo e delle precipitazioni. Quindi è indispensabile monitorare, prevenire e migliorare la qualità di queste infrastrutture. In più, ne vanno costruite di nuove».

Demolire e ricostruire?
«Sì, questa è la strada. C’è stato in questi decenni un immobilismo suicida. Tra conservare le Vele di Napoli e abbattere e ricostruire un quartiere nuovo, la seconda opzione è quella giusta. Favorisce la sicurezza e la convivenza e fa vivere i cittadini in un ambiente migliore. C’è un’edilizia degli anni 50 e 60 che è obsoleta dal punto di vista dei materiali e della struttura urbana. Credo che nessuno rimpiangerebbe i ballatoi chilometrici di Corviale o delle Vele. Oltretutto, la rigenerazione urbana significa il ritorno del verde nelle nostre città».

Anche il patrimonio storico-artistico è a rischio a causa del clima?
«Questo è un punto cruciale di cui stiamo parlando a Venezia. Una città per la quale si è discusso per decenni sulle dighe del Mose. Le dico soltanto che le città della Roma antica che si trovano sulle coste della Libia, della Tunisia, dell’Algeria rischiano di essere sommerse e in parte già lo sono. E città di pietra nell’area del Medio Oriente si stanno polverizzando. Ricerca, tecnologia, innovazione (pensi che l’Olanda ha il 60 per cento del suo territorio sotto il livello del mare e sono state fatte immense sistemazioni per poterci vivere in sicurezza) sono a disposizione non soltanto per migliorare la nostra vivibilità ma anche per salvare la memoria e tramandarla alle prossime generazioni».


© RIPRODUZIONE RISERVATA


Commenti e retroscena del panorama politico
Iscriviti e ricevi le notizie via email

Exit mobile version