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Referendum Autonomia, la mossa delle Regioni Pd-5S: «Coordinati contro la riforma»


Sherpa al lavoro, telefoni che squillano, videocall fiume e giuristi di fiducia costretti agli straordinari. Altro che scatoloni e tutti al mare: nonostante manchino pochi giorni alle dimissioni da governatore di Stefano Bonaccini, nel consiglio regionale dell’Emilia Romagna si lavora a pieno regime. Il motivo è – soprattutto – l’annunciato referendum contro l’Autonomia differenziata, la legge targata Roberto Calderoli che il Pd punta ad abbattere a colpi di volontà popolare. E capofila dell’operazione, in tandem con la segretaria Elly Schlein, è proprio il governatore uscente dell’Emilia, insieme al suo gruppo Pd in consiglio.

I tempi sono stretti, anzi strettissimi: l’addio di Bonaccini, eletto a Bruxelles sull’onda di 380mila preferenze, arriverà con ogni probabilità dopo il G7 Scienza e tecnologia in programma dal 9 all’11 luglio a Bologna. Tradotto: per mettere nero su bianco il quesito referendario e farlo approvare dal parlamentino regionale resta non più di una decina di giorni utili.

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L’ASSE

Ecco spiegato il lavorìo senza sosta di queste ore sull’asse Bologna-Roma. O meglio: sull’asse Bologna-Roma-Firenze-Napoli-Bari-Cagliari, i capoluoghi delle cinque regioni amministrate dal centrosinistra (quattro dal Pd e una, la Sardegna, da un’esponente Cinquestelle, Alessandra Todde). Il tavolo di coordinamento per arrivare a formulare «uno o più quesiti» referendari è già partito, spiega chi segue da vicino il dossier a largo del Nazareno. Ne fanno parte, oltre a esponenti di Pd, M5S e Avs, anche delegazioni dei sindacati Cgil e Uil, e un pugno di associazioni riunite nel gruppo La via maestra. E poi ci sono i segretari regionali dem e i capigruppo di maggioranza delle cinque Regioni coinvolte, bracci operativi del progetto. Con la redazione dei quesiti (che devono essere uguali e votati da tutti e cinque i consigli) già stata affidata a tecnici di fiducia che si sono messi subito all’opera.

Bisogna correre, insomma. L’alternativa è che al referendum si arrivi raccogliendo, come prevede la Costituzione, 500mila firme tra i cittadini. Problema: per andare alle urne a inizio 2025 (magari insieme alla consultazione promossa dalla Cgil contro il Jobs act, come sperano di fare i dem) le sottoscrizioni andrebbero consegnate entro il 30 settembre. Il che costringerebbe l’intera macchina organizzativa del Pd a girare a pieno ritmo durante tutta l’estate, rincorrendo gli elettori con carta e penna non solo alle feste dell’Unità ma pure sotto l’ombrellone. Ecco perché il piano prevede la “scorciatoia”: far sì che a richiedere il referendum siano – altra possibilità prescritta dalla Carta – cinque regioni, quelle a guida del “campo largo”. I cui protagonisti, Schlein e Conte, ma pure Fratoianni, Bonelli e Magi, saliranno questa sera sul palco dell’Anpi a Bologna, proprio per lanciare la crociata contro le riforme istituzionali del governo.

IL COLPO

Le firme, va da sé, verranno raccolte comunque, anche solo per mobilitare militanti e non in vista di un voto in cui la partecipazione sarà decisiva: in caso di affluenza sotto al 50% il progetto naufraga e la legge sull’Autonomia resta in vigore così com’è. Ma un conto è correre dietro all’ultima firma col rischio di ricorsi e rilievi della Cassazione, un altro cercarle sapendo di poter contare sul paracadute dei consigli regionali, è il ragionamento.

Non è tutto. A quanto trapela, gli sherpa dem sono a lavoro pure per centrare il colpo grosso. Ovvero: convincere anche solo una regione di centrodestra tra quelle del Mezzogiorno i cui governatori hanno espresso riserve sul ddl Calderoli (Calabria, Basilicata e Sicilia) a unirsi all’armata referendaria. Fantapolitica? Forse. Ma – è il mantra al Nazareno – vale la pena provarci.

Andrea Bulleri

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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