Nino prende fiato, solleva la pistola e spara. Dieci, come i metri che la separano dal bersaglio. La storia dei Giochi è riscritta, ancora. Se c’è stata una certezza olimpica da Seul 1988 in poi, è stata la presenza di Nino Salukvadze, da ieri, da quel centro perfetto che ha aperto la sua gara, la prima atleta della storia a partecipare a dieci edizioni consecutive delle Olimpiadi. Prima di lei era stato ai Giochi per dieci volte anche Ian Millar, tra Monaco 1972 a Londra 2012. Ma il Captain Canada dell’equitazione saltò Mosca 1980 per via del boicottaggio. Tradotto: dieci gettoni olimpici, sì, ma non consecutivi. Non come Nino.
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Che venerdì sera esultava come una bambina sventolando la bandiera georgiana – e chi poteva agitarla al vento francese se non lei? – mentre sfilava sulla Senna, una novità assoluta per una abituata a sfilare a piedi all’interno degli stadi. In un rituale sempre più o meno uguale, dove la cosa più importante a cambiare era stata la bandiera davanti a lei. Prima quella dell’Unione sovietica, poi quella della squadra unificata russa, infine quella con le cinque croci. Alla prima esperienza aveva 19 anni e regalò all’Urss un oro nella pistola 25 metri e un argento nella gara dai 10. Nel 2008, a Pechino, completò il suo podio personale vincendo il bronzo per la Georgia (ancora dai 10 metri), vent’anni e cinque Olimpiadi dopo i primi allori. Ma nessuno badò del tutto a quella medaglia: a rubare gli scatti dei fotografi fu l’abbraccio con Natalia Paderina, seconda classificata. Erano i giorni della Guerra dell’Ossezia, secondo molti il primo tentativo di Vladimir Putin di ripristinare la grandezza della fu Unione Sovietica. Nino georgiana, Natalia russa: l’abbraccio era un manifesto di pace.
IN GARA CON MAMMA’
I decimi Giochi di Salukvadze — che dal 2021 è anche direttrice del Museo dello Sport di Tbilisi — sono cominciati con un modesto 38° posto nelle eliminatorie della pistola ad aria compressa da 10 metri, gara in cui lei 55enne ha sfidato avversarie con meno della metà dei suoi anni. Delle otto finaliste, sei hanno 24 anni o meno, e solo una, la coreana Kim, ne ha più di 30. Dettagli di fronte alla storia. Nino tornerà al poligono il 2 agosto con la prova da 25 metri, sempre con in testa papà Vakhtang, che era anche il suo allenatore e se n’è andato quest’anno. Dopo Tokyo fu lui a convincere la figlia ad andare avanti ancora per un ciclo olimpico. Affari di famiglia, come quelli del 2016, quando Nino — che all’epoca era anche commissario tecnico della nazionale di tiro — si presentò al poligono con il giovane Tsotne Machavariani, nome che ai più dice nulla. A Nino dice molto, invece: è suo figlio. Era la prima volta che una madre e un figlio gareggiavano fianco a fianco ai Giochi ed è rimasta anche l’unica. Come il record della tiratrice senza tempo.
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