Non è un doppione del capo: è il development manager, ossia colui che accompagna i collaboratori nel loro sviluppo professionale. A introdurre questa figura è GFT in Italia: «La figura del DM o development manager ha il ruolo di accompagnare la crescita professionale di un collega. Si diventa DM candidandosi volontariamente», spiega al Messaggero Luigi Iagulli, coaching academy e welfare manager.
Luigi Iagulli, partiamo dalla figura del development manager che avete introdotto in azienda: di cosa si tratta?
«GFT sostiene la crescita delle persone e lo fa con un modello di sviluppo che adotta un approccio consulenziale: proattività, competenze d’innovazione e servizio al cliente. Il modello di GFT si basa su piani di sviluppo condivisi e una formazione continua. Prevede la possibilità di sviluppare una carriera verticale, orizzontale o una progressione nel proprio ruolo, rimanendo all’interno della stessa famiglia professionale o in una differente».
In che cosa consiste il lavoro del development manager o DM?
«Ha il ruolo di accompagnare la crescita professionale di un collega. Si diventa DM candidandosi volontariamente (una buona parte di DM è coach). Riconosce i punti di forza e le aree di miglioramento, con un focus privilegiato sugli obiettivi di carriera della persona; agevola lo sviluppo del potenziale all’interno dei team; opera, infine, come facilitatore, supportando, guidando e rendendo più consapevoli le persone che segue».
GFT ha dato vita alla Couching Academy: quali sono le finalità e come si struttura il lavoro?
«L’Academy coaching nasce con una duplice finalità: sostenere lo sviluppo aziendale, promuovendo la crescita e l’apprendimento continuo e potenziando le competenze di leadership e di guida attraverso la cultura del coaching; rafforzare il clima aziendale creando un ambiente di lavoro inclusivo, collaborativo e supportivo in cui lo stile di leadership si identifichi nei principi guida del coaching. I colleghi che diventeranno coach saranno in grado di sviluppare il potenziale dei dipendenti e creare un ambiente di apprendimento continuo supportando i colleghi nei loro percorsi di sviluppo».
Il mantra attuale nel mondo lavorativo è “centralità della persona”: come si può fare in modo che ciascuno in azienda trovi il suo percorso?
«Il benessere e la centralità del personale sono fondamentali per un’azienda di servizi come GFT, anche perché i nostri consulenti informatici possono affrontare livelli di stress elevati. Tra le iniziative principali di GFT c’è “Make Your Path”, un modello di sviluppo di carriera che promuove autogestione e trasparenza, permettendo alle persone di scegliere percorsi coerenti con le proprie aspirazioni, favorendo il benessere e la crescita professionale. Partiamo dal presupposto che per introdurre un nuovo modello di sviluppo di carriera c’è bisogno di tempo: al di là delle diverse fasi di adozione, le persone hanno bisogno di familiarizzare con il progetto e comprendere i meccanismi di funzionamento del percorso. GFT continuerà a completare la mappatura dei ruoli e l’adozione del modello “Make Your Path”, monitorando tutte le iniziative di Wellbeing attraverso report specifici, tra cui la survey Great Place to Work, dove le attività di benessere hanno già ottenuto punteggi molto elevati. I dipendenti saranno accompagnati dai Development manager e dai coach interni a trovare quello che reputeranno il loro percorso migliore più affine alle loro caratteristiche e peculiarità».
Il “benessere mentale” è sempre più al centro dell’attenzione: com’è possibile misurarlo in azienda?
«Partiamo da alcuni indicatori di performance o KPI, che utilizziamo in azienda. Iniziamo dal tasso di assenteismo, ossia la frequenza e durata delle assenze. Il segnale consiste nell’aumento improvviso o prolungato, incluse assenze brevi e frequenti. Veniamo al tasso di turnover, ossia numero di dimissioni volontarie. Il segnale di malessere consiste nell’alto tasso, in particolare tra figure chiave o in specifici team. Andiamo alla performance e alla produttività con dati sulle performance individuali o di team: i segnali, in questo caso, consistono nel calo inspiegabile del rendimento, negli errori più frequenti o nei ritardi nella consegna. Andiamo, poi, ai reclami e ai conflitti interni che emergono, ad esempio, con il numero di segnalazioni all’HR e che causano l’aumento della conflittualità e delle tensioni interpersonali. Finiamo, palrando di indicatori, con l’utilizzo di servizi di supporto con la frequenza di accesso a sportelli psicologici o EAP (alla lettera, in inglese, employee assistance program): un basso utilizzo può indicare stigmi o scarsa fiducia; un aumento eccessivo, all’opposto, può segnalare un disagio diffuso».
Dati questi indicatori di performance, cosa è possibile fare per migliorare il benessere?
«Per migliorare il benessere in azienda è fondamentale chiedere feedback ai dipendenti: è per questo che annualmente svolgiamo un’ analisi di clima, attraverso cui raccogliamo i vissuti dei lavoratori all’interno della quotidianità lavorativa. Grazie a questo strumento, è possibile individuare le aree di miglioramento, i punti di forza da cui poter partire, e gli interventi attuabili. Infatti, il senso di queste misurazioni consiste nel successivo intervento, finalizzato appunto a sviluppare e migliorare il benessere organizzativo. A questo riguardo è possibile supportare la realtà lavorativa definendo poi progetti di formazione su specifiche soft skills, oppure attivando anche servizi di sostegno individualizzato, come ad esempio lo sportello counseling o il supporto psicologico».
Da ultimo, la vostra azienda si occupa di sviluppo tecnologico: cosa chiede ai professionisti l’AI, che può dare tanti agli stessi professionisti?
«L’AI richiede ai professionisti di evolvere in figure ibride, che sappiano combinare competenza tecnica avanzata con un forte senso di responsabilità e visione strategica, offrendo in cambio una carriera potenziata, più innovativa e a più alto impatto».
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