Insieme per forza. Ma forse più per interesse che per sentimento. O almeno è questo il clima che si respira nel centrosinistra nel day after della batosta marchigiana. Con più di una possibilità di bissare il tonfo il prossimo week-end in Calabria. Perché è vero che dopo la débacle del campo largo a sostegno di Matteo Ricci nessuno si spinge a mettere in discussione il matrimonio tra Pd e M5S. Ma su entrambi i fronti è diffusa la sensazione che l’unione abbia bisogno di un po’ di terapia di coppia. Alleanza imprescindibile, se si vuole anche solo sperare di disarcionare Giorgia Meloni da Palazzo Chigi nel 2027. Ma che da sola rischia di non bastare.
«Il problema? Manca l’amalgama», ci scherza su un dem, prendendo a prestito le parole dello storico patron del Catania Angelo Massimino dopo una sconfitta («Ditemi dove gioca che lo compro», fu la sua risposta). Dal fronte Schlein però non vogliono sentire polemiche: «Abbiamo perso un’elezione, i conti li faremo alla fine», è la linea. Eppure nel Pd anche i fedelissimi della segretaria, in privato, finiscono per addossare parte delle responsabilità della sconfitta all’alleato. Si cita l’analisi dei flussi sfornata dall’Istituto Cattaneo su Ancona e Pesaro, secondo cui a Ricci sono mancati «non meno di 2 punti percentuali» per via della defezione dalle urne degli elettori pentastellati e di Avs. Ed ecco l’accusa, o meglio la constatazione: quando il candidato del campo largo è del Pd, una parte dell’elettorato 5S vira sull’astensione. Cosa che non succede se a correre è un esponente stellato (vedi Todde in Sardegna) o un civico, come Proietti in Umbria o Salis a Genova. E infatti dal fronte contiano replicano: nelle Marche era il candidato che non attirava. Troppo “politico”, Ricci.
Ecco perché la Calabria sarà un test importante. Non tanto (o non solo) per capire chi taglierà il traguardo per primo, dal momento che l’uscente di centrodestra Occhiuto parte da super-favorito sullo sfidante stellato Tridico. Quanto come cartina di tornasole per verificare il reale peso del partner 5S, in una regione in cui, sulla carta, dovrebbe fare la differenza. «Il paradosso – ragiona un altro dem della minoranza fuor di microfono – è che nelle regioni in cui vinciamo il Movimento è ininfluente». Il pensiero va a Toscana, Puglia, e Campania. Con Enzo De Luca che due giorni fa sbottava: possibile cedere la presidenza a Fico con un Movimento al 9%, mentre il Pd da solo cinque anni fa vinceva col 70? Quasi gli stessi ragionamenti che, con le dovute differenze, si facevano nello staff di Eugenio Giani, che ai 5S dovrà con ogni probabilità cedere una poltrona da vice.
Ma c’è un altro punto che l’analisi dell’Istituto Cattaneo solleva. La “fuga” dei moderati dal centrosinistra. Con 3 punti guadagnati da Acquaroli, secondo il report, dall’elettorato di Azione, Italia viva e +Europa. Liste che (con l’eccezione dei calendiani) sostenevano Ricci. Ma che secondo qualche dem «sono state nascoste», sbilanciando l’asse a sinistra. Bisogna potenziare la gamba centrista, insistono nella minoranza. La pensa così anche Filippo Sensi: «L’unità è condizione necessaria, ma non sufficiente», riflette con il Messaggero il senatore dem. Che insiste: «Bisogna lavorare ancora molto sul profilo della nostra offerta politica, che sia più larga, che parli a tutti e non solo ai nostri».
IL MESSAGGIO
Un messaggio che alcuni tra i riformisti dem in rotta con Bonaccini lanceranno alla segretaria forte e chiaro il 24 ottobre, quando si riuniranno a Milano. Prima però c’è la sfida in Calabria. Per tirare la volata a Tridico Conte sarà oggi a Cosenza, mentre Schlein ieri è arrivata a Crotone con Pier Luigi Bersani. «Meloni ci attacca – arringa la segretaria glissando sulla sconfitta – ma il problema non siamo noi che andiamo negli ospedali, sono i medici e gli infermieri che se ne vanno dagli ospedali calabresi». Si chiude con Bella ciao. I conti, anche sull’alleanza, si faranno alla fine.
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