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Parolin favorito (con 50 voti), ma salgono le quotazioni di Erdo, Tagle, Pizzaballa


La fumata è nera come la pece. Alle nove in punto, quando il cielo è già buio. Sono troppe le incognite che questo conclave si sta trascinando e probabilmente erano eccessive pure le aspettative di avere un Papa subito, tuttavia per la folla che ieri pomeriggio si è riversata a fiumi su via della Conciliazione il rito dello sbuffo è andato bene lo stesso. Questa tradizione mette assieme tutti, credenti e non credenti, l’appuntamento dell’elezione di un Papa è diventato pop e global allo stesso tempo. E poi fa parte del dna della Capitale. Nell’immaginario collettivo Roma è il Papa e il Papa è Roma. Nel pomeriggio i maxi-schermi a San Pietro per la prima volta hanno dato la possibilità alla folla di seguire l’Extra omnes mentre si svolgeva in una bolla di sacralità nella Sistina, esattamente come tutte le fasi precedenti. È stato un po’ come se andasse in onda il primo conclave social. Persino i cardinali poco prima di entrare nel lockdown conclavario, quando si trovavano ancora a Santa Marta si sono fatti un po’ prendere la mano. Gli ultimi a salutare i propri fedeli su X sono stati il cileno Chomalì e l’americano Dolan. «Cari amici non potrò parlarvi finché non vedrete la fumata bianca», ha scritto l’arcivescovo amico di Trump.

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L’unità

Di 133 elettori solo uno di loro sarà Papa e la sfida strisciante si sviluppa attorno a tanti ostacoli. Stavolta sono tantissimi e poi tra loro non si conoscono molto, ma del resto in questi anni non hanno avuto troppe occasioni per ritrovarsi. E poi molti hanno visioni diversissime su cosa deve fare la Chiesa mai così polarizzata tra destra e sinistra, tra una concezione aperta e sinodale e una più rispettosa della tradizione e in fondo pure del magistero passato. Non a caso ieri mattina a San Pietro, nella messa Pro Eligendo Pontifice, l’anziano e cardinale decano, il novantenne Giovanni Battista Re, ha pronunciato per diverse volte una sola parola: unità. «Siamo qui per invocare l’aiuto dello Spirito Santo, per implorare la sua luce e la sua forza perché sia eletto il Papa di cui la Chiesa e l’umanità hanno bisogno in questo tornante della storia tanto difficile e complesso». È poi anche quel richiamo a lasciare da parte i risentimenti, le divisioni, gli ostacoli. L’omelia di quel momento tradizionalmente rappresenta una sorta di road map per fare riflettere nei giorni a seguire gli elettori.

La folla

La gente in piazza che è arrivata nel pomeriggio ha osservato sugli schermi i cardinali mentre sfilavano lentamente in processione. Uno dopo l’altro reclinavano il capo arrivando dinnanzi all’altare della Sistina, e poi successivamente giurando solennemente sul Vangelo. Volti seri, pensierosi, gravati dalla consapevolezza. Non sembravano espressioni normali, si capiva che stavano entrando in un terreno sconosciuto. E forse è persino facile immaginare come si debbano essere sentiti in quel momento, sotto il Giudizio Universale, con gli occhi del mondo addosso, la cornice grandiosa e imponente del Palazzo Apostolico, l’eco quasi ultraterreno delle litanie che mettevano una certa soggezione, e poi l’eredità di Francesco e il futuro davanti poco chiaro. Il prescelto, o meglio, colui che sarà il più votato dagli elettori, se accetterà il gravoso compito, avrà in mano le chiavi decussate del regno e, al contempo, sulle sue spalle il peso morale di un miliardo e 400 milioni di fedeli nel mondo. Roba da far tremare i polsi a chiunque. Non a caso Ratzinger, a suo tempo, quando ebbe modo di parlare della sua elezione, confessò di aver provato un brivido nella schiena man mano che avanzano i suoi voti. «Mi sono sentito come se fossi sotto la ghigliottina». In genere la prima votazione, dopo l’Extra omnes pronunciato dal Maestro delle Celebrazioni pontificie, non dura così tanto. Stavolta è durata un tempo infinito e la spiegazione fatta filtrare è che la predica prevista nella Sistina dopo l’Extra Omnes è stata particolarmente lunga, un po’ come è nello stile del cardinale Cantalamessa, un cappuccino, ex Predicatore della casa Pontificia. Si dice che sia durata ben 45 minuti, facendo saltare tutti i tempi previsti tanto che la fumata nera è uscita col buio pesto, attorno alle nove di sera. Vi è però una altra ipotesi, tutta da esplorare. Che i cardinali abbiano dovuto rifare il conteggio dei voti per un banale sbaglio, avendone contati due, esattamente come accadde durante il conclave del 2013.

Ritardo a parte, la prima votazione è sempre un test assai utile a scoprire le carte, far affiorare le cordate, le loro dimensioni, facilitare le intese e mappare i candidati sui quali puntare successivamente. Oggi sono previste quattro votazioni, due al mattino e due al pomeriggio e il test di ieri sera aiuterà certamente gli schieramenti a misurare i propri voti in vista di una intesa. Parolin, l’ex segretario di Stato – che ha il compito di guidare le votazioni e controllare le procedure – al momento è anche il cardinale che raggruppa più voti (circa 50). La posizione istituzionale ricoperta in questi anni gli ha consentito di essere conosciuto in tutto il mondo.

L’endorsement

Ieri mattina, alla messa Pro Eligendo Pontifice, a suo favore è arrivato l’endorsement del cardinale Re. Quasi un viatico sebbene non sia stato apprezzato da tutti. L’abbraccio assai caloroso che ne è seguito è rimasto quasi cristallizzato, sospeso nell’aria. Doppi auguri a lui non solo perché i due si conoscono da decenni, entrambi provenienti dalle fila della diplomazia, ma pure per la sua candidatura in fieri. Un cardinale elettore ieri mattina suggeriva che se Parolin non verrà eletto nell’arco delle prossime quattro votazioni significa che la sua possibilità di farcela tramonterebbe definitivamente a favore di un’altra figura. A questo punto possono farsi avanti nomi di seconda fila, profili anche nuovi. Rimangono però forti anche Erdo, Tagle, Pizzaballa.

Le parole che Re ha affidato a tutti nell’omelia, invece, sono un bilancio del cammino della Chiesa con il suggerimento che per la Chiesa serve un Papa che sappia salvaguardare i valori fondamentali. Non si è addentrato oltre ma letto tra le righe quel testo si capisce benissimo cosa ha voluto dire. Votate per chi può difendere la vita, la famiglia fondata da un uomo e una donna, l’ascolto dei poveri e degli emarginati.

L’attesa della fumata che si è protratta fino alle 21, mentre i gabbiani, a turno ogni tanto planavano sul comignolo per zampettare attorno, ha finalmente liberato i cardinali che hanno raggiunto il pulmino che li ha portati a santa Marta per una cena frugale e per continuare lo scambio dei conciliaboli. Da ieri sera si sono avviate le murmurationes, gli incontri, i suggerimenti ad opera dei king makers.

Per i cardinali italiani questo conclave è praticamente l’ultimo tentativo per contare ancora qualcosa nel Collegio Cardinalizio. In questi ultimi 40 anni, dal conclave che elesse Papa Wojtyla ad oggi, la quota italiana ha iniziato progressivamente a diminuire. Oggi sono ridotti a 19 e sono peraltro divisi, se non ostili tra loro. E dire che dieci giorni fa il cardinale salesiano Bertone, mentre entrava a Santa Marta a rendere omaggio alla salma di Papa Francesco, incontrando un amico, assicurava: «Nel 2013 non c’è stato un Papa italiano perché noi italiani eravamo tutti divisi ma stavolta non sarà così». Chissà.

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