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«Non è stata progettata per questo»


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Sempre più adolescenti, tra i 13 e i 17 anni, tendono a utilizzare l’intelligenza artificiale come supporto per la salute mentale. Lo conferma un recente studio condotto in Inghilterra su 11 mila giovani che rivela un dato importante: sia le vittime che gli autori di violenza sono più propensi a chiedere aiuto ai chatbot dell’AI.  

L’Ai risponde meglio dei servizi di salute mentale

I risultati dello studio, forniti dallo Youth Endowment Fund, hanno suscitato grande allarme tra gli esperti.

Ciò dimostra che i chatbot sono in grado di rispondere meglio e in modo più efficiente alle necessità di salute mentale dei giovani, capacità che invece sembra «mancare» ai servizi di salute mentale convenzionali. Oltre al fatto che i tempi di attesa sono nettamente inferiori. Un chatbot è sempre pronto a risponderi, a qualsiasi ora del giorno o della notte, tempestività che una seduta dallo psicologo non ha. Dunque, le lunghe liste d’attesa, la carenza di empatia di alcuni professionisti e la a presunta privacy dei chatbot spinge sempre più ragazzi a ricorrere all’AI.

Giovani, 1 su 4 ha usato l’AI come psicologo nell’ultimo anno

Uno su quattro ragazzi tra i 13 e i 17 anni ha utilizzato un chatbot basato sull’intelligenza artificiale per il supporto alla salute mentale nell’ultimo anno. Un altro dato rilevante è che adolescenti di colore hanno doppia probabilità rispetto ai ragazzi bianchi di farlo. Gli adolescenti erano più propensi a cercare supporto online, anche tramite l’intelligenza artificiale, se erano in lista d’attesa per un trattamento o una diagnosi o se la richiesta era stata respinta, rispetto a chi riceveva già supporto di persona.

 Le cause contro OpenAI

Jon Yates, amministratore delegato dello Youth Endowment Fund, che ha commissionato la ricerca, ha dichiarato a The Guardian: «Troppi giovani hanno problemi di salute mentale e non riescono a ottenere il supporto di cui hanno bisogno. Non sorprende che alcuni si rivolgano alla tecnologia per chiedere aiuto. Dobbiamo fare di più per i nostri figli, soprattutto per quelli più a rischio. Hanno bisogno di un essere umano, non di un robot». Le preoccupazioni sono legati ai pericoli dei chatbot quando i bambini interagiscono con loro per lungo tempo. OpenAI, l’azienda statunitense che ha creato ChatGPT, sta affrontando diverse cause legali, anche da parte di famiglie di giovani che si sono suicidati dopo lunghe interazioni. Il caso più recente è quello del sedicenne californiano Adam Raine, che si è tolto la vita ad aprile.


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