Francesco Rotondi, giuslavorista e consigliere esperto del Cnel, la Commissione di garanzia sugli scioperi ha dichiarato illegittimo quello indetto dalla Cgil per la Global Sumud Flotilla. Ha fatto bene?
«Le mie perplessità sono sull’utilizzo dello sciopero in questa situazione, indipendentemente dal fatto che sia legittimo o meno prestare attenzione a fatti di natura politica e internazionale. Lo sciopero, come previsto dalla Costituzione e disciplinato all’interno dello Statuto dei lavoratori, ha una specifica natura e deve essere posto a tutela di specifici diritti. Per questo non è definibile sciopero la scelta di assentarsi dal lavoro per dimostrare contro qualcosa che si ritiene ingiusto: non è esercizio del diritto di sciopero».
Però non è la prima volta che si manifesta per questioni politiche…
«Chiaro, ma ci deve essere un interesse economico e reale correlato al lavoratore. Qui non riesco a vederlo, nemmeno in un’interpretazione estensiva».
Lei ha parlato di una “metamorfosi” dello strumento dello sciopero. Che intende?
«In una prima fase, siamo stati abituati a considerare lo sciopero come strettamente correlato ai diritti reali dei lavoratori, anche non economici, ad esempio quelli a tutela della loro dignità. Poi è seguito un periodo — negli anni ‘80-‘90 — in cui gli scioperi sono stati connessi alla perdita di posti di lavoro e alla retribuzione. Dagli inizi degli anni 2000 ad oggi, invece, il diritto di sciopero ha vissuto dei momenti in cui è stato necessario “forzare” l’idea di una diretta connessione con una tutela reale. Ovviamente questo è stato possibile fino a quando si è parlato di questioni direttamente connesse allo Stato. Ma qui siamo di fronte a operazioni internazionali e situazioni che potrebbero anche configurare reati nei confronti di atri Stati. Io credo che definirlo sciopero non abbia senso».
È un problema italiano o la questione è più estesa?
«Io credo che sia un tema più ampio e che, probabilmente, sia connesso all’andamento internazionale».
La normativa sugli scioperi risale al 1990. Serve una modifica?
«Io non credo che la questione si risolva con un intervento normativo. La norma a mio avviso è estremamente chiara, il problema è l’interpretazione che oggi viene data dalle organizzazioni sindacali. È evidente che la risposta potrebbe essere aziendale».
Ovvero?
«Nel momento in cui non si riconosce lo sciopero come tale, può valere come un’assenza. Da qui ci si potrebbe muovere, anche perché lo sciopero scarica i suoi effetti sulle imprese e sui datori di lavoro anche quando non sono loro gli interlocutori naturali del conflitto».
Il ministro Salvini ha intenzione di introdurre sanzioni per chi non rispetta le regole sugli scioperi. La stretta può aiutare a ridefinire il “perimetro” per un uso corretto di questo strumento?
«Io credo che il perimetro è chiaro, poi se c’è una distorsione di interpretazione politica…Sinceramente non mi sembra necessario un intervento ad hoc: noi abbiamo chiaro cos’è lo sciopero e cosa sono i servizi essenziali che devono essere comunque garantiti. Siamo in un momento storico e sociale ormai “oltre la legge” e che a un certo punto dovrà trovare un avallo giuridico: questo sarà la magistratura a definirlo».
Che intende, conseguenze sul piano giuridico?
«L’accertamento giurisprudenziale della legittimità. Quando chi è danneggiato da questa attività si rivolgerà al giudice per dire che non si tratta dell’esercizio legittimo di un diritto».
Quindi, che ci siano delle cause?
«Assolutamente sì».
C’è una riflessione in corso sul tema degli scioperi anche all’interno del Cnel?
«In questo momento siamo occupati in altro. Non avevamo previsto queste situazioni e siamo anche abbastanza sorpresi».
Da cosa?
«Era lontano dalla mente di chi è avvezzo a questa materia immaginare che si potesse invocare questo strumento per manifestare nei confronti della situazione in atto. Questo è un brutto segnale politico e sociale, significa che non si tiene conto delle regole presenti all’interno di uno Stato».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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