Ormai a metà del guado di questa stagione estiva, e con i numeri che raccontano un clamoroso calo di sbarchi rispetto all’anno scorso — meno 62% — il governo è costretto a rimettere testa sui traffici migratori. Due rotte asiatiche rischiano ora di riprendere forza. Quella turco-siriana, se la guerra fra Israele e Libano dovesse deflagrare da un momento all’altro. E la carovana di migranti in fuga dal Bangladesh, Paese che a fatica tenta di uscire da una breve ma sanguinosa guerriglia civile, uomini e donne in viaggio verso l’Italia attraverso un lungo e tortuoso percorso.
La partenza da Daqqa, la capitale al centro degli scontri, la tappa nei Paesi del golfo con passaporti falsi, l’arrivo in aereo in Nord Africa e in Egitto per poi dirigersi in Italia.
A un passo dalle ferie, riecco il caso migranti bussare alla porta del centrodestra. Mercoledì, Palazzo Chigi. A poche ore dall’ultimo Consiglio dei ministri la premier Giorgia Meloni presiede una riunione sulle rotte migratorie insieme ai ministri preposti, fra gli altri, va da sé, i titolari del Viminale e della Farnesina Matteo Piantedosi e Antonio Tjaani e i vertici dei Servizi segreti. Appuntamento fisso, ogni quindici giorni, questa volta però sul tavolo c’è un monito preciso. Il bicchiere mezzo pieno è l’emergenza sbarchi che, di fatto, non esiste più. I numeri li ha sciorinati il ministro dell’Interno alla Camera questa settimana. Dal Nord Africa le partenze sono crollate, meno venti per cento addirittura sul 2022, l’ultima estate del governo Draghi. Complici, ne sono convinti al governo, gli accordi di cooperazione contro i trafficanti stretti dall’Italia con i Paesi rivieraschi del Mediterraneo, dalla Tunisia di Saied all’Egitto.
E insieme il boom di rimpatri assistiti dalla Libia d’intesa con l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) e l’Onu, quasi novemila dall’inizio dell’anno. Il bicchiere mezzo vuoto riguarda invece un altro fronte, su cui si concentra la riunione. I tumulti e il caos in Bangladesh, con la fuga del primo ministro Sheik Hasina in India — si parla di quasi quattrocento morti nelle proteste antigovernative — hanno riattivato una rotta che da tempo preoccupa i nostri apparati di sicurezza. Il Bangladesh è di gran lunga il primo Paese di provenienza dei migranti illegali nel 2024, quasi un quinto di quelli sbarcati sulle coste italiane proviene da lì. Da mesi il governo, con la regia della Farnesina, lavora per fermare il giro di passaporti falsi che permette ai migranti bengalesi di entrare in Italia con una contorta triangolazione di voli aerei che passa per i Paesi nordafricani.
LA RICHIESTA
In questo momento è l’Egitto l’ultimo terminale di queste carovane prima dell’ultimo tratto per entrare nello Stivale e per questo sono già partite interlocuzioni con il governo di Al Sisi per chiedere una stretta sui controlli. Anche le rotte del Mediterraneo orientale e balcanica tornano a preoccupare a Palazzo Chigi con i riflettori puntati sull’escalation in Medio Oriente e lo sguardo agli effetti che può avere su una nuova ondata di partenze dalla Siria e dal Libano.
Quanto alla Libia, è l’analisi condivisa dall’intelligence, desta meno preoccupazione il traffico di migranti dal Nord-Est. Haftar, generale e ras della Cirenaica, ha iniziato a collaborare in cambio di credito politico e investimenti garantiti dal governo Meloni. Diversa la situazione a Ovest, nella Tripolitania sotto il debole governo onusiano di Dbeibeh e delle milizie che lo tengono in scacco. A Zuara, nel Nord Ovest, i trafficanti hanno ripreso a mettere su gommoni di fortuna, di fabbricazione cinese, le vittime della tratta. Ce n’è abbastanza perché Meloni e i suoi non abbassino la guardia.
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