Nessun passo indietro, nessun ripensamento. Il giorno dopo la decisione del tribunale di Roma che ha assestato un colpo alla strategia albanese del governo, il piano di trasferire i richiedenti asilo nei due centri appena inaugurati di Gjader e Shenjgin va avanti. Con un secondo gruppo di migranti che, secondo quanto trapela, salperà alla volta dell’Albania su una nave della Marina italiana «a giorni». Forse già «mercoledì o giovedì», se le condizioni del mare lo permetteranno. Quel che è certo è che non sono previste sospensioni dell’accordo, al momento.
Non intende arretrare, Palazzo Chigi. Al contrario: si lavora a un nuovo provvedimento da portare al Cdm straordinario di domani, per superare il veto dei giudici. Si va avanti, insomma, nonostante ieri i primi dodici migranti trasferiti mercoledì nella struttura entro i confini di Tirana (ma sotto giurisdizione di Roma) siano infine approdati a Bari, dopo che il tribunale della Capitale aveva giudicato «non sicuro» per loro il territorio albanese. Si tratta di 7 egiziani e 5 bengalesi, ospitati nel centro di accoglienza per richiedenti asilo del capoluogo pugliese dopo cinque ore di traversata su una motovedetta. «Impauriti e sotto shock», racconta chi li ha accolti, e soprattutto «preoccupati per la loro permanenza in Italia».
LO SCONTRO
Il clima, intanto, resta incandescente. Tra governo e toghe come tra maggioranza e opposizioni. Con Pd, M5S e Avs che chiedono in coro le dimissioni del Guardasigilli Carlo Nordio: «Ha superato ogni limite, ora lasci l’incarico». Ma cosa aveva detto, il titolare di via Arenula, per far saltar su il centrosinistra? Il ministro è a Palermo, ospite di un convegno della camera di commercio, quando – da ex magistrato – punta il dito «non contro la magistratura», sottolinea lui, ma «contro il merito di questa sentenza» sul caso Albania. Una decisione «abnorme», affonda, perché «non possono essere i giudici a definire uno Stato più o meno sicuro, è una questione di altissima politica». Nessuna «dichiarazione di guerra» alle toghe («lo riterrei quasi sacrilego», mette a verbale). Ma «se la magistratura esonda dai propri poteri attribuendosi delle prerogative che non può avere», come quella di decidere quali Paesi considerare affidabili e quali no, allora «la politica deve intervenire: prenderemo provvedimenti legislativi», annuncia.
Parole che finiscono per gettare altra benzina sul fuoco. Le opposizioni salgono sulle barricate. Elly Schlein denuncia il «gravissimo scontro istituzionale alimentato dal governo per coprire la loro incapacità». Matteo Renzi ironizza su un nuovo “caso Ferragni”: «Meloni spreca centinaia di milioni degli italiani per un suo capriccio personale. È un’influencer, e questo sarà il suo pandoro». Intanto sia Italia viva che i Cinquestelle fanno sapere – separatamente – che presenteranno un esposto alla Corte dei conti per valutare l’ipotesi di danno erariale per gli hotspot in Albania («800 milioni buttati», è l’affondo del Pd) e il trasporto dei profughi «costato – dicono i 5S – 18mila euro a migrante».
In serata arriva pure la replica a Nordio del presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia: «Nessuno scontro» da parte della magistratura, sostiene il capo del sindacato dei magistrati. «Solo l’applicazione di norme che sono cogenti anche per gli Stati. E lo saranno – avverte – anche per il governo nel momento in cui, come è stato annunciato, si appresta a trovare nuove soluzioni». Quasi a voler mettere in guardia: non è con un decreto o un nuovo provvedimento che cambieranno i verdetti.
ATTACCO FRONTALE
Matteo Salvini non ci sta. Prima, in mattinata, convoca un consiglio federale della Lega per chiamare il partito alla «mobilitazione» contro le «toghe politicizzate» che «indossano la maglietta rossa». E per annunciare gazebo «in tutte le città» il 14 e 15 dicembre in vista della sentenza su Open Arms, in cui rischia sei anni di carcere. Poi, intervistato dal Tg1 delle 20, torna sul caso Albania e va giù durissimo: «Se qualcuno di questi dodici migranti domani commettesse un reato, rapinasse, stuprasse, uccidesse qualcuno – si domanda – chi ne pagherà le conseguenze? Il magistrato che li ha riportati in Italia?». È un affondo a tutto campo sui giudici in diretta, gli «unici lavoratori che non pagano per i propri errori» e che «per gli amici spesso applicano le norme in altra maniera». Si indigna il Pd: «Siamo all’attacco frontale ai poteri dello Stato. Attaccare la magistratura è grave, farlo in prima serata dalla prima rete del servizio pubblico (che i dem tacciano di «megafono» della maggioranza, ndr) è ancora più grave».
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