Gli eventi del fine settimana, ogni giovedì
Iscriviti e ricevi le notizie via email
Pedro Pablo Pasculli da Santa Fe, 65 anni, con i nonni paterni originari di Bitonto in provincia di Bari. In Argentina è cresciuto e ha debuttato nella massima serie con il Colón, passando nel 1980 all’Argentinos Juniors. Il Lecce neopromosso in Serie A l’ha chiamato ed è cominciata la lunga storia d’amore salentina che l’ha portato a essere per 12 anni il primatista dei gol stranieri in giallorosso, fin quando nel 2004 lo è diventato Chevantón.
La Nazionale argentina l’ha visto protagonista, con Diego Armando Maradona, campione del mondo in Messico nell’86, ricordando il gol decisivo negli ottavi di finale contro l’Uruguay. Da allenatore ha avuto tante esperienze, anche da da commissario tecnico della nazionale ugandese e degli azzurri del beach soccer. Ha lavorato in Albania, Galles ed Egitto, ritrovando i colori del Lecce alla guida della Berretti. Le ultima avventure nel 2022 ad Assisi e l’anno scorso a Salerno nei dilettanti. Di seguito l’intervista al Messaggero.
L’intervista a Pasculli
Pasculli, si sente ormai più italiano o argentino?
«Più italiano, del resto ho passato più anni qui. Sono arrivato a 25 anni e sono rimasto. Diciamo 51 per cento italiano e 49 per cento argentino».
Oggi dove vive e cosa fa?
«Sto, come sempre, a Lecce. Mi occupo di scouting e stage per i giovani. Ho ricevuto una proposta per allenare nella serie A del Marocco, ma ancora non abbiamo concluso: si sta parlando».
Quante occasioni ha avuto per tornare ad allenare?
«Poche. Nel settore giovanile mi sarebbe piaciuto e mi piacerebbe. Non mi hanno dato la possibilità. In Umbria so che c’è una squadra argentina, a Città di Castello, con il pronipote di Papa Francesco: con il presidente Matias Bergoglio ci siamo sentiti».
Lei è stato molto legato a Maradona: le manca?
«Mi manca, ho tante foto con lui. Ho un murales a casa mia: ci siamo io e lui con due tifosi che ci portano a spalla, e Diego con la coppa del mondo in mano».
Cosa vi dicevate soprattutto dividendo la camera con la Nazionale argentina?
«Parlavamo tanto, eravamo grandi amici. Lui era una persona semplice. Non stavamo in hotel ma in un centro sportivo, uscivamo dalla stanza ed eravamo tutti assieme circondati dai campi per gli allenamenti. Si parlava di tutto, però guardavamo e commentavamo soprattutto le partite».
Il vostro un rapporto speciale?
«Sì, direi stupendo. Un vero amico. Mi prese a vent’anni la sua squadra, l’Argentinos Juniors, e giocavamo insieme. Poi lui è andato al Boca e al Napoli. Era un piacere vederlo, giocarci insieme è stato un privilegio. L’ho sempre considerato sul piano umano prima che calcistico, al di là delle vicende personali. Per me è stata una persona di cuore, ha aiutato tanta gente».
Come andò la famosa notte prima della partita al Mondiale in Messico nei quarti di finale con l’Inghilterra?
«Lui dava tranquillità e sicurezza, trasmetteva quella serenità che un calciatore deve avere.
Annullava la tensione. Parlò come capitano a tutti i compagni, tesissimi, e rassicurò che ci avrebbe pensato lui. Così è stato. Era più di una partita, c’erano le conseguenze della guerra per le Falkland. La sera prima della finale con la Germania, invece, nei due lettini piccoli, uno accanto all’altro, io parlavo e lui zitto: mi invitò a dormire perché l’indomani ci sarebbe stata una partita importante da giocare. Dormi non ti preoccupare, disse. E io pensai: dormi tu che sei Diego, ma noi come facciamo?».
Di Maradona si è detto proprio tutto o c’è qualcosa che la gente ancora non sa o non ha capito di lui?
«Si è visto e saputo tutto, era una persona genuina come lo vedevi. Bravo e sempre disponibile con tutti, per esempio non andava nei ristoranti famosi ma preferiva le pizzerie parlando liberamente con chi gli si rivolgeva. Si sono purtroppo approfittati in tanti di lui, del personaggio. Non aveva niente da nascondere, ha sempre detto tutto anche sulla cocaina: confessava apertamente che sarebbe stato ancora più forte senza la droga. Non si lamentava mai, non criticava gli arbitri, non litigava con gli avversari».
A proposito di Mondiali, ha un’idea per il 2026?
«La Germania si sta preparando bene, la Spagna sta formando tanti giovani interessanti. Spero che l’Italia possa qualificarsi, non voglio neanche pensare che possa restare esclusa per la terza volta. Argentina e Brasile sono sempre due nazionali da battere. Mi piace Ancelotti ma non sarà facile, anche se la fortuna è che ha avuto molti giocatori brasiliani al Real Madrid. Credo che sia il migliore tecnico al mondo».
Il Pallone d’Oro
Meglio Dembélé o Yamal per il Pallone d’Oro 2025?
«Dembélé l’ha preso per quello che ha vinto, ma Yamal è destinato a essere il numero uno. A me piace di più Yamal».
Cosa le è rimasto del periodo d’oro a Lecce con 214 partite e 53 gol tra il 1985 e il ‘92?
«Stupendo, la mia vita. Ho lasciato una traccia e un bel ricordo tra i tifosi. Questa storia mi è rimasta nel cuore».
A quei tempi l’Italia aveva il campionato più bello del mondo?
«Sì, venivano tutti i migliori. Abbiamo visto i fuoriclasse e i campioni, da Maradona a Platini, Zico, Falcao, Socrates, Junior, Dirceu, Ramon Diaz, più gli italiani campioni del mondo in Spagna e il Milan di Sacchi. Quelli erano giocatori veri».
Sul campionato italiano
Come vede questa Serie A?
«Molto male, arrivano dall’estero giocatori mediocri, non all’altezza della situazione. Il livello è basso, di una noia incredibile. Non viene data la possibilità agli italiani di emergere: si sono troppi stranieri, prendete le squadre Primavera che ne sono piene. Retegui lo vuole la nazionale azzurra, ma chiedetevi perché l’Argentina non l’ha preso in considerazione. Il calcio italiano in Europa adesso viene dopo Spagna, Germania e Inghilterra. Il calcio è cambiato in peggio. Il gioco dal basso può piacere, però per me il portiere non deve giocare con i piedi. Donnarumma è il migliore del mondo, ma Luis Enrique non l’ha voluto perché non sa giocare con i piedi. Chi sta in porta deve parare, per segnare e vincere bisogna mandare la palla in avanti. Per arrivare alla porta avversaria non puoi impiegare dieci minuti. Mi piace il calcio inglese perché giocano fino alla fine».
Chi vincerà lo scudetto?
«È una bella lotta tra Inter e Napoli. Chivu non sta andando benissimo, vince a singhiozzo, ma ha una rosa completa e competitiva con tante alternative di qualità. Il Napoli deve anche giocare la Champions League, che l’anno scorso non aveva».
Il Napoli è riuscito ad andare oltre Maradona?
«Quelli sono tempi passati ed entrati nella storia, i due scudetti con Diego restano unici. Potranno vincerne altri, ma i paragoni non si possono fare. Prima di tutto c’è Maradona, anche se non c’è più. Per il napoletano vive sempre».
Messi degno erede di Maradona?
«Ottimo giocatore, grandissimo, il migliore del mondo. Non perché è argentino ma perché punta la porta, salta l’uomo, non gioca mai indietro, proprio come Maradona. Sono epoche diverse, ha vinto tutto a Barcellona ma è anche vero che aveva una squadra super».
Yamal erede di Messi e Ronaldo
Dopo Lionel e Ronaldo?
«Yamal promette molto e trovo Nico Paz un giocatore di grandi qualità».
L’allenatore e il giocatore che in Italia la intrigano di più?
«Fabregas fa giocare bene il Como, una squadra giovane e che diverte. Nico Paz mi piace molto e Lautaro è il miglior attaccante in circolazione, insieme a Haaland».
Il talento e il modo di coltivarlo sono cambiati in questi anni?
«Un po’ si. Ma soprattutto non danno molte opportunità. Sento dei ragazzi che non possono giocare perché ancora troppo giovani e inorridisco. In Argentina non c’è la legge sugli under obbligatori e quando hai 16-17 anni, se sei bravo, ti mettono dentro. Ai miei tempi, in Argentina la squadra giovanile veniva fatta giocare prima della squadra maggiore, davanti a tanta gente per respirare l’aria del calcio dei grandi».
Ha giocato e allenato ovunque, ma gira gira è tornato nel Salento: meglio là che altrove?
«In Salento ho comprato casa e messo buone radici. Ma resto un po’ vagabondo, uno zingaro che finché ho la forza vado dove mi vogliono».
Ha rimpianti?
«Qualcuno sì, non aver giocato in Serie A con altre squadre, che mi hanno cercato e anche importanti. Ho sempre rinnovato il contratto andando avanti così».
Un ricordo indimenticabile?
«Diego mi ha tirato su di morale quando il Ct Carlos Bilardo non mi ha fatto giocare contro l’Inghilterra, dopo che avevo segnato il gol decisivo all’Uruguay negli ottavi. Lo ricordo come fosse oggi».
La chiamano ancora l’Uragano?
«Sì, se ne ricordano. Con gli amici mi diverto a giocare e gli dico: ho giocato con Maradona e adesso devo farlo con voi! Ridiamo e ci divertiamo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA