NAPOLI Fico e De Luca come Totò e Peppino. Anzi, decisamente meno, perché « la commedia napoletana è molto più nobile di quella che vediamo». Giorgia Meloni punta sulle divisioni interne, spina nel fianco del fronte progressista, per tentare di strappare la Campania al centrosinistra dopo 10 anni di “granducato” De Luca a Palazzo Santa Lucia. Al Palapartenope, a due passi dallo stadio Maradona, arrivano una dietro l’altra le auto blu dei leader del centrodestra per tirare la volata ad Edmondo Cirielli, il viceministro degli Esteri in quota Fdi a cui è affidata la mission impossible. Ammesso lo sia, perché il centrodestra, Meloni in testa, mostra di crederci per davvero: il generale dei carabinieri, due lauree e studi alla Nunziatella nel curriculum, potrebbe rivelarsi l’underdog in grado di sparigliare, rovesciando i pronostici e “affondando” il candidato grillino a bordo del suo gozzo «e gli altri voltagabbana». O almeno è così che lo descrive Meloni a una platea — il capolista a Napoli Gennaro Sangiuliano in prima fila — che l’accoglie al coro di “chi non salta comunista è”. E la presidente del Consiglio sì che salta, incurante del tacco 12 su cui si muove sicura. Saltellano anche Salvini, Tajani e Lupi, tentando di restituire l’immagine plastica di un centrodestra unito, mentre nel fronte progressista si allargano le crepe, soprattutto qui in Campania, con De Luca che punzecchia Fico e i 5 Stelle un giorno sì e l’altro pure.
Ed è dove il dente duole che batte la lingua della maggioranza. «Fico — affonda la premier — definiva il Pd il pericolo numero uno del Paese e oggi si allea con il presidente della Regione. Io vorrei chiedere a Fico se il modo di De Luca di governare va benissimo perché per anni i Cinque stelle lo hanno descritto come un modello clientelare. Mentivano prima o Fico ha deciso di far parte di quel sistema contro il quale combattevano?». Meloni ne ha anche per il governatore uscente, che proprio ieri ha incassato il disco verde del Tar: sul piano di rientro De Luca ha ragione — la sentenza -, la sanità campana può uscire dal piano di rientro e tornare in gestione alla Regione. Ma Meloni incurante tira dritto. Sulle liste d’attesa in sanità, accusa, De Luca «fa il gioco delle tre carte, pensa davvero che siamo tutti scemi». «Come vanno le cose per davvero» negli ospedali campani «lui non ce lo dice, bluffa, ma glielo ricordo io volentieri, si sa che sono un po’ str…», se la ride la premier, richiamando il celebre battibecco con il governatore star dei social, a cui rinfaccia anche la vicenda della «frittura di pesce» di renziana memoria.
IL PASSAPAROLA
Ai campani Meloni chiede un cambio di passo, li invita a un «passaparola casa per casa, piazza per piazza, quartiere per quartiere». Non è l’appello di Silvio Berlusconi a rispolverare la rubrica telefonica chiamando vecchi amici ed ex fidanzate, ma poco ci manca. Perché il centrodestra crede nella remuntada, tanto che la premier potrebbe tornare a Napoli già venerdì prossimo, per spingere Cirielli all’ultimo miglio. «Non si può parlare di sondaggi a pochi giorni dal voto — dice Salvini dal palco, dopo aver richiamato persino San Gennaro per convincere i napoletani — ma io ne ho sbirciato qualcuno. La partita è apertissima e si può vincere dopo tanti anni in cui la vittoria appariva lontana».
Ma il vero scoglio per il centrodestra resta Napoli, dove il centrosinistra è fortissimo e dove si concentra la maggioranza del corpo elettorale della Regione. Tajani lo sa e non a caso snocciolando elogi per il capoluogo campano in gran parte del suo intervento, ricorda la passione di Berlusconi per la città del Vesuvio, «lui che si sentiva un napoletano nato a Milano». Anche Meloni riserva parole di miele per una terra «orgogliosa», dalla «civiltà millenaria», e scorre la storia partenopea accarezzandone i miti, da Federico II di Svevia a Totò, passando a Sofia Loren e Pino Daniele che raccoglie il boato della platea.
Sotto il tendone scuro del Palapartenope gremito, la premier “chiama” anche un altro voto, quello sul referendum sulla giustizia. E lo fa appellandosi a una scelta che deve essere di merito più che politica, sgomberando di nuovo il campo dai dubbi di chi vede una replica del gran tonfo di Renzi. «Non votate pensando di sostenere il governo o di andare contro il governo per due ragioni — rimarca — la prima è che questo governo rimarrà in carica fino alla fine della legislatura. La seconda è che i governi passano ma le leggi, particolarmente quelle costituzionali, rimangono e incidono sulla vostra vita».
L’ultimo affondo è per Fico, che Meloni non chiama nemmeno per nome. «Con la nostra manovra — punge — abbiamo aiutato chi non si può permettere una barca da ormeggiare in un’area preclusa ai cittadini comuni». Applausi e selfie d’ordinanza prima di allontanarsi sulle note dell’Inno di Mameli. Il Palapartenope si svuota, mentre su Napoli cala il gelo. Al bar di fronte un cartello recita: «le sfogliatelle sono finite», mentre la radio passa “Napule è”.
Ileana Sciarra
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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