Un Rapporto frutto di una «stretta collaborazione» con l’Italia. Di cui Roma, in altre parole, conosceva i contenuti. È cortese ma ferma – e pure un po’ piccata, tanto che a Palazzo Chigi quelle parole vengono lette non senza sorpresa – la risposta della Commissione europea alla lettera di Giorgia Meloni, in cui la premier denunciava un «uso politico» della Relazione annuale Ue sullo stato di diritto. Relazione il cui contenuto, per la presidente del Consiglio, sarebbe stato «distorto da alcuni nel tentativo di attaccare il governo italiano», agitando lo spettro di una «eccessiva ingerenza politica» della maggioranza sul sistema radiotelevisivo pubblico. Insomma: di un passo indietro sul fronte della libertà di informazione da quando al governo c’è FdI.
STRETTA COLLABORAZIONE
Accuse che, nella missiva indirizzata a Ursula von der Leyen, la premier aveva rispedito con asprezza al mittente. Aspettandosi forse una sponda da parte della rieletta presidente dell’esecutivo Ue.
La risposta invece, affidata a un portavoce e a non meglio precisate “fonti europee”, è stata più stringata. La Commissione fa notare che la Relazione da oltre mille pagine (di cui 46 dedicate all’Italia) «è il risultato di molteplici scambi anche a livello politico con i Paesi membri», e di «una stretta collaborazione con le autorità nazionali». In altre parole non conteneva sorprese, per il governo italiano, che ha collaborato attivamente alla sua stesura. Il Rapporto, stilato a febbraio e pubblicato nei giorni scorsi, è stato redatto seguendo «il consueto iter», descritto come un «processo inclusivo con gli Stati membri e le parti interessate». Prima che il Report diventasse definitivo, viene spiegato, «alle autorità nazionali è stata data l’opportunità di dare aggiornamenti fattuali». Inclusa l’Italia, con cui «c’è sempre stato un dialogo aperto». Si poteva insomma controbattere a quelle argomentazioni. Oltretutto il documento, sottolinea ancora la Commissione, oltre che sulla collaborazione di tutti i Ventisette «si basa su una varietà di fonti». Una replica indiretta a chi aveva argomentato che la Relazione fosse eccessivamente viziata dai giudizi di enti o associazioni notoriamente in contrasto col governo.
Insomma Bruxelles mette i puntini sulle “i”. Anche se Meloni, scrivendo a von der Leyen, non puntava il dito contro le valutazioni della Commissione. Al contrario: «Anche quest’anno – aveva scritto la premier – le raccomandazioni finali nei confronti dell’Italia non si discostano particolarmente da quelle degli anni precedenti». Piuttosto contro le opposizioni e parte della stampa, che ne avevano offerto una lettura «distorta» e «strumentale», rilanciando – sempre secondo la premier – «fake news» come la fuga di giornalisti e conduttori dalla Rai imputata a FdI, o la mancata par condicio in occasione delle Europee a vantaggio del governo. Il nodo, in sostanza, non era tanto la Relazione in sé ma l’opposta interpretazione offerta da centrodestra e centrosinistra.
BOTTA E RISPOSTA
Un punto che all’indomani della lettera viene ribadito anche dal gruppo meloniano a Bruxelles. «La lettera a von der Leyen chiarisce in maniera inequivocabile, anche ai vertici dell’Ue, il costante e disperato tentativo della sinistra nostrana spalleggiata da propalatori seriali di fake news di strumentalizzare qualunque cosa», affonda il capodelegazione di FdI all’Eurocamera Carlo Fidanza. Non una critica all’Europa ma un atto «necessario» e «opportuno» per ricordare «la perdurante lottizzazione» della radiotelevisione pubblica da parte di chi «ha approvato l’attuale sistema di governance». «Non mi pare – sottolinea intanto il vicepremier Tajani – che la Rai sia un luogo dove c’è una dittatura culturale». L’opposizione però resta sulle barricate: per la pentastellata Barbara Floridia la premier deve sedersi al tavolo e discutere « una riforma che sostituisca la legge Renzi del 2015. Attacca il responsabile Informazione Pd Sandro Ruotolo: «La Rai ormai è un megafono della propaganda meloniana. La lettera? La premier si sente assediata».
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